Maestra quando tremi…metti la giacca, non fa niente se tutti gli altri hanno caldo .

LORENA VERUCCHI

Storie di vita: convivere con il Parkinson
Dedicato a chi mi vuol bene… e anche a chi non me ne vuole…
A chi ha mille certezze …. e anche a chi ha mille dubbi…
A chi ha tutte le verità in tasca… e anche a chi ha le tasche rammendate…
A chi giudica senza appello… e a chi concede attenuanti…
Ma soprattutto a mio figlio e a mio marito, che non hanno certezze, non hanno verità in tasca, ma che si arrabbiano con me, piangono con me, ridono con me e sono davvero il più grosso regalo che la vita mi ha fatto.
Vi voglio raccontare la storia di una donna affetta dal morbo di Parkinson, malattia che colpisce anche in giovane età, e ve la voglio raccontare come un romanzo, un racconto di fasi di vita in cui questa donna si propone come persona comune, normale diremmo, che un bel giorno si ritrova diversa da come è sempre stata.
Notate che ho scritto un “bel giorno” e non un brutto giorno, volutamente. Infatti, raccontando la storia di una donna vivace e intraprendente, non posso che ritrovare me, noi, ciascuno di noi, tutti… quei tutti che componiamo la varia umanità.
Quella di cui parlo non è una donna prodigio, ma una brava studentessa, capace di superare gli esami per i concorsi e di diventare insegnante.
E’ evidente ciò che le accadrà: non si fermava mai, non era capace di restare in se stessa se non le poche ore passate a letto, quello sul quale si buttava esausta.. lei, brillante, che non aveva bisogno di niente e di nessuno..
Poi, un giorno qualunque, un braccio che non controlla più… tutto stava dicendo a quella donna “Fermati!”. Ma, non fraintendete: non “Fermati del tutto, a lavorare a maglia (con tutto il rispetto), vivendo con gli orari da casa di riposo”.. no, affatto, fermati con te stessa, ascoltati, guardati, non importa se poi lavori ventitre ore al giorno… basta che sia la tua vita e non la corsa affannata a nasconderti ciò che di più prezioso hai: te stessa, le tue emozioni imbavagliate e nascoste in fondo a te.
Abbiamo l’abitudine di affermare: “Dobbiamo lottare contro la malattia”, “Dobbiamo debellare la malattia”, “Sono stato colpito da..”, ma, in realtà, la malattia, il dolore, siamo noi, sono una parte di noi talmente inascoltata che, ad un certo punto, deve necessariamente mettersi ad urlare.. e se lo deve fare sferrando un calcio poderoso che mette k.o. tecnico, ben venga!
Solo che quella donna non ha capito. o ha preferito, in quel momento, non capire e non ha ascoltato ancora quel sé che, disperatamente, non voleva ascoltarsi. La necessità di fermarsi (per motivazioni psicologiche, per stanchezza fisica certa, eccetera) si è materializzata con blocchi muscolari nei momenti e noi luoghi più impensati.. fino a quando un neurologo ha diagnosticato il Parkinson.
Quella donna aveva bisogno di una diagnosi, aveva bisogno di combattere un morbo… ancora una volta non si stava ascoltando.
Poi, finalmente anche lei si fa la sua diagnosi, la diagnosi vera, quella che fa a se stessa…
Non si è ascoltata. Certo, le cure adoperate non risolvevano il problema, anzi ne creavano di ben peggiori, come fossero il placebo da dare alla paziente, qualcosa in cui credere, qualcosa che si pensava fosse risolutivo.
Eppure, l’unica risoluzione nessuno la trova. Non lei, perché è un cammino difficile da intraprendere; non i medici, perché non hanno alcun interesse a risolvere definitivamente i problemi delle persone, problemi che il più delle volte non colgono davvero e per i quali non hanno affatto soluzioni definitive; non altri, che sono spettatori e lettori di una vita narrata, certo, i famosi spettatori giudicanti, quelli con tutte le verità in tasca, pronti a catalogare tutti in ogni situazione.
Ed ecco che quella donna capisce: il segreto della vita è sapere quando si è al bivio, e la strada da seguire può essere l’una o l’altra, a seconda del coraggio, dell’umiltà, della preparazione.  bivio

A questo punto sono determinanti le persone amiche o i familiari, ed è determinante trovare l’aiuto giusto, risolutivo. prima di arrivare alla patologia, prima di doverci fermare definitivamente.

Non arrendersi è un pregio, certo, ma arrendersi, talvolta, lo è più grande. Arrendersi alla propria vulnerabilità, ai propri sogni, alle proprie aspirazioni. arrendersi al proprio fisico che, sottoposto ad ogni tipo di stress, vuole solo un po’ di quiete ed esprimersi finalmente come vuole, anche senza fare nulla, è spesso il più grande atto di coraggio che si possa dimostrare.

Ed è proprio lì che giace la risposta al “Perché io? Perché a me?”, 

perche-1e solo da lì si può trovare la strada per volersi bene a tal punto da non avere più bisogno di una malattia per avere un paravento alla vera ragione di vivere.

Io questa domanda me la sono fatta mille volte e, mille volte mi sono arrabbiata, ho pianto….

E POI SONO ENTRATA NELLA MIA CLASSE, TRA I MIEI BAMBINI.

 clipart17