Un bambino vive un momento di difficoltà, il genitore chiede aiuto… cosa avviene da quel momento in poi? Ne parliamo con la Dottoressa De Ponte

Dottoressa De Ponte nel corso dell’intervista che potremmo definire di presentazione  (la trovate qui nel blog), lei ha affermato che si occupa anche di Psicoterapia dell’età evolutiva e quindi di sostegno psicologico per i bambini. Cosa succede quando un genitore si accorge che il proprio bambino sta vivendo un momento di difficoltà, di disagio?

Iniziamo da: lei riceve una telefonata da un genitore 

Esatto, tutto inizia con una telefonata durante la quale uno dei genitori mi spiega la situazione, poi si fissa  il primo appuntamento.

In genere richiedo la presenza di entrambi i genitori (a meno che non ci siano degli impedimenti), poi in seguito decido se vedere o meno il bambino anche in rapporto alla sua età. Il percorso terapeutico prevede degli incontri alternati   bambino-genitori, di solito dopo tre incontri col bambino uno avviene con i genitori, ma non c’è mai nulla di fisso, tutto è dinamico e dipende dal percorso, dalla disponibilità dei genitori e dalla problematica.  La seduta dura circa   50 minuti con una frequenza che varia caso per caso.

So che non è facile decidere di “di andare dallo psicologo”, in virtù della sua esperienza cosa spinge un genitore a chiedere finalmente aiuto?

Il bambino viene in terapia dopo un fatto eclatante, in seguito ad episodio molto forte, come lei ha detto nella premessa, i genitori non sempre si attivano in tempi veloci per verificarne la causa.  Fra i motivi da lei enunciati aggiungerei che spesso si pensa che portare il bambino dallo psicologo sia automaticamente indice di una “carenza” come genitore. Una sorta di: se il bambino ha qualcosa che non va è sicuramente “colpa” mia, sono un cattivo padre o una cattiva madre.  Da qui nasce la resistenza del genitore a chiedere aiuto. Generalmente in questi casi, rimando ai genitori un messaggio di incoraggiamento, so bene che fanno del loro meglio, e sicuramente il loro bambino è amato e  le difficoltà che sta vivendo sono  probabilmente momentanee.

Quindi a volte le arrivano bambini con situazioni anche gravi perché immagino che il fattore “tempo” sia importantissimo, forse possiamo approfittarne per lanciare una specie di appello: procrastinare, rimandare non aiuta a far superare i problemi, al contrario aggrava le situazioni e rischia di cronicizzarle. C’è anche la possibilità che sia un disagio passeggero, un momento di difficoltà ma anche che sia un problema più complesso che va considerato seriamente.

Lo so che è una domanda “impossibile” ma molti mi chiedono “quanto dura il percorso terapeutico?”, immagino che sia impossibile rispondere.

Infatti non è definibile a priori, ogni bambino è una caso a sé, ha una sua storia e volta per volta insieme anche ai genitori valutiamo la situazione e gli obiettivi terapeutici.

Ora entriamo nel suo studio, come interagisce col bambino?

Lo strumento principale d’intervento è il Colloquio in base anche al mio orientamento terapeutico, ma soprattutto il gioco! Non potrebbe essere altrimenti trattandosi di bambini. Il percorso terapeutico è finalizzato al conseguimento della realizzazione di sé stessi e delle proprie capacità e potenzialità, all’aumento della conoscenza di sé, all’accettazione dei propri limiti, sia da parte del bambino che da parte dei genitori, e alla riduzione della sofferenza psicologica.

Quindi per costruire la relazione con il bambino utilizzo i giochi di ruolo, le fantasie guidate, le storie, la musica, l’argilla, il disegno, la lettura, i peluche, i burattini, il colore.

Nella mia vita privata faccio anche teatro e quindi porto nello studio questa esperienza lavorando sulla drammatizzazione delle fiabe, le metto in scena insieme ai bambini; è una pratica che li aiuta tantissimo ad aumentare la crescita e lo sviluppo della coscienza[1].

Ma la tecnica e la procedura non sono fine a sé stesse, la tecnica e il metodo sono catalizzatori perché ogni seduta è imprevedibile tutto dipende da me, dal bambino, dalla situazione; il processo creativo che ne deriva è aperto a 360 gradi, perché è questo il mio compito: aprire sia le porte che le finestre del loro mondo interiore.  È necessario offrire al bambino tutti i mezzi che gli permettano di poter esprimere le proprie emozioni e di tirar fuori ciò che è nascosto e che spesso fa soffrire. Si può lavorare insieme su questo materiale che emerge. Il mio intervento permette di aiutare ad aprire le porte della autoconoscenza e della padronanza di sé, con dolcezza e delicatezza.

Quando entro in relazione con un bambino attivo il mio bambino interiore, detto in termini di Analisi Transazionale, cioè attivo una parte di me, di Bambino Libero che va verso la creatività, verso la spontaneità tipica dei bambini e poi attivo anche una parte Genitoriale.

Concluderei con un pensiero fondamentale: il presupposto di base per lavorare con i bambini è non solo attivare questa parte libera di sé (il Bambino Libero di cui dicevo), ma è fondamentale AMARLI, stabilire con loro un rapporto di accettazione e di fiducia, seguirli nella crescita e nel loro apprendimento. Il bambino deve sentirsi accettato per quello che è, solo amandolo e accettandolo è possibile aiutarlo. L’amore cura.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Come metodo mi ispiro a quella di Viole Oaklander una terapeuta Gestalt che ha scritto” Il gioco che guarisce”

La dottoressa Anellina De Ponte riceve a:

  • Via Nazionale delle Puglie 51

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Tel. 3288493076