Cominciamo dalla parola “BULLYING”. Il bullismo è … ne parliamo con la Dottoressa De Ponte

Cominciamo dalla parola “BULLYING” e dalla sua definizione :  Bullying is unwanted, aggressive behavior among school aged children that involves a real or perceived power imbalance. The behavior is repeated, or has the potential to be repeated, over time. Both kids who are bullied and who bully others may have serious, lasting problems.

“Il bullismo è un comportamento indesiderato e aggressivo tra i bambini in età scolare che comporta uno squilibrio di potere reale o percepito. Il comportamento è ripetuto, o ha il potenziale per essere ripetuto, nel tempo. Entrambi i bambini che sono vittime di bullismo e che fanno il prepotente possono avere problemi seri e duraturi.”

La definizione è tratta da un sito governativo americano ( www.stopbullying.gov)  che si occupa proprio di questo tema. Nella cronaca le notizie di casi di bullismo sono frequenti, ho chiesto alla Dottoressa De Ponte di analizzare questo tema da un punto di vista un po’ diverso dal solito, cominciano con una sua definizione potremmo dire “tecnica”, cos’è il bullismo e chi è il bullo?

Nella mia pratica clinica ho avuto ed ho avuto diversi pazienti coinvolti in casi di bullismo, sia vittime che bulli. Se vogliamo inquadrarlo clinicamente il bullismo si può definire come un comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, la violenza può essere di natura fisica o psicologica. Il termine  bullismo come lei ha ben spiegato nella premessa  viene dall’inglese “bullying”,  e  proprio come nella definizione che lei ha dato si  caratterizza con una situazione relazionale in cui sono presenti un soggetto prevaricatore e un soggetto prevaricato, cioè il bullo e la vittima.

Tra i due c’è uno squilibrio di potere, il bullo si sente potente, sicuro di sé, si mostra all’altro superiore  e sottolineo si MOSTRA così, dall’altra parte c’è la vittima che non riesce a ribellarsi a  questa prevaricazione e  si mostra all’altro come una persona debole.  Nel fenomeno del bullismo, generalmente, non sono coinvolti solo il bullo o i bulli e le/la vittima/e, sono coinvolti tutti coloro che fanno parte integrante del loro mondo: i compagni che tacciono per timore assistendo ai soprusi, i genitori, i docenti.

È indubbio che a pagarne il prezzo è la vittima che va aiutata, sostenuta e supportata, ma in questo articolo cerchiamo di prendere in considerazione il bullismo osservando entrambe le prospettive, cioè analizzando anche il comportamento del bullo.

Perché un bambino, un ragazzo diventa bullo?

Credo che alla base di tutto ci sia la ricerca del POTERE, il bullo ha un potere sull’altro, il potere di provocare uno stato d’animo di paura, di ansia, di preoccupazione, di umiliazione e sottomissione. Provocare la paura fa sentire potenti. Nell’immaginario collettivo il bullo è rappresentato come un ragazzo sicuro di sé, spavaldo; questo è vero fino ad un certo punto perché nella mia esperienza ho incontrato bulli che dietro questa facciata erano ragazzi immaturi con una scarsa stima in se stessi. Per questo penso che nei casi di bullismo bisogna agire su entrambe le parti e coinvolgere il contesto familiare, scolastico e sociale, laddove sia possibile ovviamente.

Dottoressa immagino che sia una domanda “impossibile” chiederle: quali sono le cause del bullismo?

Sì, se non proprio impossibile quasi perché è un fenomeno complesso e multifattoriale che dipende da diversi fattori: sociali, familiari, dalla personalità del soggetto, dalle dinamiche del gruppo. Oggi poi al bullismo propriamente detto si è aggiunto anche il cyberbullismo in cui l’aggressione non è fisica, ma si svolge tutto in rete, attraverso il web e i social, e la vittima viene colpita tramite la diffusione di materiale denigratorio o creando gruppi di vero e proprio accanimento contro la persona. Bullismo e cyberbullismo non sono diversi, cambiano solo le modalità con cui le prepotenze e a volte vere e proprie violenze vengono veicolate.

Cosa fare?

Prima di tutto bisogna agire con interventi preventivi attraverso la sensibilizzazione e l’informazione. In questi interventi   rivestono un ruolo fondamentale i genitori e gli insegnanti.

I genitori posso monitorare i comportamenti del figlio all’interno del gruppo dei coetanei e rivolgersi agli specialisti e/o agli insegnanti quando vedono che ci sono comportamenti o manifestazioni insolite.

In classe gli insegnanti  possono favorire una “politica del rispetto” facendo in modo che tutti gli allievi vengano riconosciuti per quello che sono; inoltre possono segnalare precocemente episodi che vanno nella direzione della prevaricazione e del bullismo.

È necessario aiutare e sostenere la vittima, ma anche lavorare sul bullo e sulle sue fragilità, e sull’amore e la stima in se stesso. L’unico modo per indurre l’amore verso l’altro è cominciare ad amare se stessi.

Dottoressa ci parli di qualche sua esperienza sul campo.

Ho partecipato a diversi progetti nelle scuole, nella fattispecie, vi parlo di una esperienza in una scuola secondaria di secondo grado.

Alcuni insegnanti avevano individuato nella loro classe, la presenza di alcuni alunni che avevano comportamenti aggressivi e prevaricatori nei confronti dei loro compagni e in alcuni casi anche verso i docenti, quindi tutto faceva temere la possibilità di futuri atti di bullismo. Il nostro intervento è partito dal presupposto che la scuola non è solo un luogo dove imparare, ma  un posto dove relazionarsi, dove imparare a convivere con gli altri, è il luogo dove si vive la socialità con i propri coetanei, quindi abbiamo pensato che per ristabilire un clima di benessere e serenità fosse necessario mettere in atto delle esperienze di peer  education, educazione tra i pari. Questo progetto ha coinvolto sia studenti che docenti inserendoli in attività di formazione-informazioni, e laboratori di gruppo, all’interno dei quali i venivano affidati ai ragazzi dei ruoli precisi.

Ogni ruolo puntava sulla valorizzazione delle risorse interne e delle abilità di ciascuno, indipendentemente dalle caratteristiche (cioè erano coinvolti i possibili bulli, le probabili vittime e l’intero gruppo classe). Il fine era quello di valorizzare il “buono” e le risorse di tutti indistintamente. In virtù di questo ai cosiddetti bulli (io non amo questa parola) sono stati affidati ruoli di responsabilità; il ragazzo con atteggiamenti prevaricanti nei riguardi dei loro amici diventava per un certo tempo e per determinate attività, il tutor, il leader del gruppo classe. Il risultato è stato positivo, erano tutti molto soddisfatti! Gli adulti (i docenti e gli psicologi) gli avevano affidato un ruolo importante, avevano riposto in loro la fiducia (forse era successo raramente nella loro vita). I ragazzi che di solito venivano  considerati come quelli “da cui stare lontani”, erano ora considerati  “affidabili”.  Quindi per un certo tempo e in un certo momento era  stata tolta loro l’etichetta con cui andavano in giro per il mondo.

L’adulto che ha fiducia nel ragazzo, fa in modo che anche lui  possa avere fiducia in se stesso, è come dire:  “Se io (adulto) credo in te (ragazzo) realmente, anche tu puoi credere in te. Puoi iniziare a costruire dentro di te uno spazio d’amore per te”.

Alla fine del progetto abbiamo rilevato un cambiamento in tutte le dinamiche: alunni-alunni, alunni-insegnanti, insegnanti-insegnanti. Ognuno di loro ha sperimentato un ruolo diverso, ognuno ha incrementato il rispetto per le proprie risorse e abilità. Credo che sia un’esperienza da ripetere.

Al MIO STUDIO:

Per quanto riguarda la mia esperienza clinica in  studio  seguo pazienti sia  “bulli” che “vittime”.

Il lavoro che effettuiamo insieme, io con loro all’interno della relazione terapeutica,  è quello di costruire un percorso che li aiuti ad assumere comportamenti alternativi, ad uscire dal “ruolo” abituale; è come se avessero un “marchio”,  come se fossero “imprigionati” in un dato  “personaggio” per esempio ci sono ragazzi che hanno il “marchio del bullo” o ragazzi che “marchio della vittima”. Cerco quindi di fargli immaginare quale sia la reazione degli altri ad un loro cambiamento; io credo in un loro cambiamento di ruolo e credo che loro possano, in un certo senso, liberarsi del marchio che hanno. Metaforicamente possano, cioè, “spogliarsi”  dei panni di bullo o “spogliarsi” dei panni della vittima. Se aumenta il grado di consapevolezza rispetto ai propri vissuti, l’ aggressività, per esempio, può prendere una forma meno disfunzionale e può non essere direzionata contro le persone che vengono viste come le più deboli. Per fare ciò occorre fare un‘ azione di “alfabetizzazione emozionale”, attraverso la quale comprendano che tutte le emozioni hanno un senso, una funzione, un peso importante.

È un lavoro in cui bisogna costruire, ma anche smontare false idee e apprendimenti distorti che i ragazzi hanno interiorizzato. Spesso ho riscontrato che questi ragazzi hanno interiorizzati un messaggio del tipo: “Per affermarti devi combattere altrimenti gli altri ti schiacciano” oppure: “Se non sei forte il mondo ti mangia”, il concetto principale è quindi che “gli altri sono tutti contro di te e tu devi combattere e quindi vivere ‘contro’ anche tu

Grazie al lavoro terapeutico tutto questo può essere modificato in: “Puoi fidarti degli altri perché TU SEI IMPORTANTE per gli altri e anche loro lo sono per te”.

Per fare ciò il terapeuta deve mostrare di avere molta fiducia nel ragazzo e deve fare in modo che il ragazzo si affidi a lui. Il terapeuta si  muove con dedizione, interesse e desiderio in modo da stabilire un clima di fiducia nella relazione terapeutica. Se il ragazzo apprende che si può fidare del terapeuta,  e che il terapeuta si fida di lui, può portare la stessa fiducia fuori, nel suo mondo. Per esempio può sperimentare di sentire che un suo amico si fida di lui e che lui si fida una altro amico ancora.

La fiducia che si costruisce gradualmente durante la relazione terapeutica, consente di accompagnare il ragazzo in un viaggio,  con una continua attenzione nei suoi confronti, in modo da poter in ogni momento cambiare rotta, invertirla, verificare il percorso, per poi giungere alla meta stabilita.

La ringrazio Dottoressa De Ponte ovviamente in questo articolo abbiamo dato solo “un assaggio” di un tema difficile e molto dibattuto, non esistono formule magiche e soluzioni uniche come avviene sempre quando si parla di ragazzi, di persone bisogna agire insieme, ognuno con le sue competenze, ognuno con il suo ruolo per dare a tutti i ragazzi la possibilità di crescere, studiare e socializzare e affermarsi con serenità e nel rispetto di tutti.

Le immagini sono prese dal web.

 

La dottoressa Anellina De Ponte riceve a:

  • Via Nazionale delle Puglie 51

Cimitile (NA)

Tel. 3288493076