ll morso. Ne parliamo con la Dottoressa Marelli

IL MORSO

 Dottoressa Marelli ogni anno, in molti asili, si consuma sempre lo stesso “dramma”, mi riferisco al dramma del morso! Sono tanti i genitori disperati perché i loro bambini tornano a casa con segni evidenti dovuti a morsi di altri bambini. Questo tema è spesso fonte di preoccupazione sia per i genitori dei morsicati che dei morsicatori, , ammetto di essere stata io stessa anni fa uno di questi genitori, in classe di mio figlio c’era un bambino che invece del segno di zorro, lasciava “ l’impronta dentaria” sulle braccine di molti suoi compagni. Perché un bambino sente l’esigenza di mordere?

Per poter capire meglio il fenomeno è necessario tuttavia però fare delle premesse. La questione più importante è relativa all’età. Sebbene, nel primo anno di vita,  il morso sia una modalità fisiologica di entrare in relazione con il mondo, non tutti i bambini mordono, quelli che lo fanno possono cambiare l’intensità e la frequenza dei morsi.

Il morso consente al bambino di esplorare l’ambiente circostante, di valutare la consistenza dei materiali, il sapore degli oggetti, e gli permette di fare esperienza diretta delle cose che lo circondano.

La bocca è un organo di senso fondamentale, ed è anche attraverso essa che si fa esperienza del mondo, specialmente nei primi mesi di vita.

Sarà accortezza dei genitori favorire questo processo, evitando di mettere intorno al bambino oggetti pericolosi o facili da ingerire. Per il resto via libera all’esplorazione!!

Per i bambini poter fare esperienza di ciò che li circonda, attraverso la bocca, è un passaggio non solo importante ma fondamentale. Questo principio vale sia per gli oggetti  sia per quelli animali domestici per esempio e si estende anche ai pari e, a volte, anche agli adulti che stanno intorno al bambino.

È un processo che serve sia per conoscere l’altro sia per osservare l’effetto che fa il proprio morso, l’azione che ha sugli altri. Solitamente è una fase passeggera che fa parte dell’evoluzione stessa del bambino sotto l’anno di vita.

Ma se continua? Se il bambino continua a mordere appunto come abbiamo detto nell’incipit anche quando fa il suo ingresso nella  scuola materna?

Dopo il primo anno di vita  il morso ha un significato diverso?

Successivamente il morso può avere diverse funzioni, ad esempio può essere un monito, un avvertimento che il bambino può utilizzare come modalità comunicativa.

A due anni il bambino può utilizzare la modalità del morso per esprimere appunto la propria rabbia o per “attaccare” gli altri.

Occorre ricordare due cose:

  • L’emisfero sinistro del nostro cervello (quello deputato al linguaggio verbale, al ragionamento ed alla logica) raggiunge la sua maturazione verso i tre, quattro anni. Ciò vuole dire che i bambini piccoli non sono in grado di comunicare il loro disagio utilizzando le parole. Ecco perché ricorrono ad altri metodi, tra cui il morso.
  • Noi adulti abbiamo la funzione fondamentale di mediatori. Dato che né l’emisfero sinistro né tantomeno la COF (corteccia orbito frontale, deputata alla regolazione emotiva), sono totalmente funzionanti e sviluppate, siamo noi adulti che fungiamo da rispecchiamento. Pertanto sarà di fondamentale importanza il modo in cui noi gestiamo i nostri conflitti e come riusciamo a regolare i loro.

Il morso rappresenta per il bambino quindi anche una modalità di entrare in relazione con il mondo, ma che consigli può dare ai genitori e agli insegnanti? In pratica cosa si può fare? I bambini che mordono a volte sono isolati, esclusi come evitarlo? E come fare in modo che il bambino cambi la sua modalità di “comunicazione” ?

Prima di passare ai consigli pratici bisogna affrontare una questione importante: quella del giudizio dell’adulto.

Vorrei che fosse ben chiaro che NON CI SONO BAMBINI CATTIVI e BAMBINI BUONI. Chi morde non è il carnefice e, viceversa, chi viene morso, non è la vittima. Spesso si tende a consolare il bambino che ha subito un morso e a non curarsi del bambino che ha dato il morso. Questo è errato ed andrebbe evitato. Entrambi i bambini, dopo l’atto, hanno bisogno di essere aiutati a regolare l’accaduto. Hanno bisogno appunto che l’adulto funga da mediatore dei loro vissuti emozionali, senza sentirsi in colpa, o senza sentirsi giudicati. Spesso accade che gli stessi bambini, se l’adulto non interviene immediatamente, sono in grado di regolarsi e di ripristinare il rapporto con il loro pari.

Proprio perché è fondamentale per la crescita e la maturazione celebrale del bambino (0-3 anni), il modo in cui noi adulti interveniamo, ecco cosa VA EVITATO assolutamente.

  • punire il bambino che ha morso. Primo perché, come detto sopra, essendo la corteccia orbito frontale e l’emisfero sinistro ancora immaturi, i bambini non comprenderebbero assolutamente la ragione. Sarebbero sopraffatti dalla reazione dell’adulto senza comprenderne le ragioni;
  • mordere il bambino a nostra volta. Inutile dire che questo creerebbe ancora più confusione nel bambino e non servirebbe a niente, anzi peggiorerebbe la situazione. Le azioni dei genitori sono un esempio di comportamento per i bambini, se mamma e papà mordono anche loro allora …mordere si può;
  • mettere in castigo il bambino. Per lo stesso discorso di sviluppo delle funzioni cerebrali il castigo nella primissima infanzia (0-3 anni) è INUTILE.

Cosa allora fare? Come intervenire senza interferire con il normale sviluppo del bambino?

  • Se si assiste ad un morso, questo vale sia a casa, al nido, al parco, lo si deve interrompere con un netto NO.

  • Se il morso è rivolto a noi durante l’allattamento o durante il gioco, la nostra reazione non deve essere né di svalutazione o di derisione e né aggressiva. Se il bambino ci morde gli si comunica che “No”, non si fa, perché fa male e noi non intendiamo subire e ci si allontana qualche minuto, sia per calmarci se siamo arrabbiati sia per permettere a lui di cominciare a registrare che le azioni violente non sono gradite. Così facendo anche lui imparerà che ci si può difendere dalla violenza e che non deve necessariamente subirla.
  • Intervenire con fermezza senza però aggredire il bambino a nostra volta. Si può dire semplicemente “no, non si fa”. Molti genitori restano un po’ contrariati rispetto a quest’ultimo consiglio. Poiché dicono “io ho fatto così, ma X lo ha fatto di nuovo!” ciò che noi genitori dovremmo sempre tenere a mente è che il processo di crescita e di apprendimento è lungo. A noi spetta il compito di seminare. Non è detto che raccoglieremo i frutti il giorno dopo la semina, ma se abbiamo agito rispettando la natura del bambino, rispettandolo come individuo e indirizzandolo verso la propria AUTOREGOLAZIONE EMOTIVA, avremmo senz’altro cresciuto un adulto sano ed empatico.
  • Affrontare la cosa senza ansia e senza apprensione. NON è grave mordere o essere morsi. Cerchiamo al limite di comprendere come mai il morso ci attiva così tanto e se ha a che fare con qualcosa che riguarda noi, la nostra infanzia, più che nostro figlio.
  • Se il bambino è piccolo occorre fornirgli qualche gioco da mordere. Ne esistono moltissimi, di diverse forme e colori (ad esempio Sophie la giraffa).
  • Tradurre sempre al bambino (superato l’anno di età), con le parole, ciò che pensiamo volesse esprimere con il morso (sei arrabbiato? Volevi giocare con X? Ti sei fatto male?).

 E se continua? Il bambino di cui parlavo all’inizio, compagno di scuola di mio figlio, purtroppo si fece una vera propria nomina di morditore selvaggio, non ha smesso neanche alle elmentari.

Dopo i due/tre anni il discorso cambia. Superata la fase in cui il morso è esplorativo, conoscitivo e comunicativo,  se il bambino continua a mordere anche senza un apparente motivo, allora vale la pensa di interrogarsi e di fermarsi a riflettere. Il morso a quell’età può essere un campanello di allarme che indica un disagio. Se la modalità del morso continua ci si  dovrebbe rivolgere ad uno psicologo esperto di età evolutiva che aiuti i genitori  ma soprattutto il bambino. Spesso si sottovaluta il fatto che i bambini che mordono, specie, dai 2 anni in su, hanno anche loro un disagio o un malessere ma non hanno ancora gli strumenti per gestirlo in maniera differente, hanno solo bisogno di essere compresi e aiutati.

Dottoressa Alessandra Marelli

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