ESTATE. Compiti sì, compiti no, ne parliamo con la Dottoressa Tagliabue

ESTATE. Compiti sì, compiti no, ne parliamo con la Dottoressa Tagliabue

I bambini d’estate hanno moltissimo tempo a disposizione.

Tempo per distrarsi, per “staccare” completamente dalla scuola, per viaggiare, andare in vacanza, giocare, divertirsi, stare in famiglia e con gli amici.

Tre mesi sono tanti e in questo lungo periodo oltre a tutto questo c’è sicuramente anche lo spazio per la lettura, per scoprire nuovi autori,  per visitare nuove librerie e  le biblioteche della propria città.

Il giovane Cicerone. Vincenzo Foppa 1464

È vero Dottoressa Tagliabue, a volte ci dimentichiamo anche che esistano, sia le librerie sia le biblioteche.  Instillare l’amore per la lettura non è cosa facile, ma non impossibile.

E i compiti?

Io credo che sia doveroso che gli insegnanti assegnino dei compiti durante la pausa per le vacanze estive,  ovviamente la mole di lavoro deve essere adeguata.

Si può dedicare un po’ di tempo ogni giorno ai compiti, ovviamente senza intralciare o sacrificare viaggi, divertimenti previsti o proposti sul momento. In questi mesi in cui non c’è alcuna ansia e non ci sono voti, valutazioni, né  orari precisi da rispettare,  i compiti serviranno a sviluppare l’autonomia del bambino, costituiranno l’occasione per rimettersi in gioco, per sperimentare le capacità di affrontare da solo le difficoltà,

Credo che quello che un genitore debba far passare è la motivazione: perché sono utili i compiti delle vacanze? Se si accetta che i bambini li facciano tutti subito, appena finita la scuola “per togliersi il pensiero”, o che si ricordino di farli solo una settimana prima del rientrok, allora certamente il messaggio che trasmettiamo è questo:

compiti = peso= fastidio= incombenza imposta.

Per la maggior parte delle volte vengono proprio percepiti in questo modo, come fare per cambiare tendenza?

Non è facile, ma credo che sia possibile far comprendere agli studenti che i compiti durante le vacanze sono una sorta di allenamento, così come lo sportivo deve allenarsi per non perdere la tonicità muscolare, così lo studente allena la mente, per non perdere le conoscenze acquisite.

Più precisamente quale potrebbe essere il ruolo dei genitori?

I genitori dovrebbero occuparsi dell’organizzazione e della pianificazione, accompagnare i figli in modo discreto:  mai sostituirsi ai bambini e  fare i compiti al loro posto! Non servirebbe a nessuno. Uno scopo dei compiti è proprio quello di far sperimentare ai bambini  le capacità di autonomia e poter pensare: “posso farcela anche da solo” . Tutto ciò sarà un ottimo nutrimento per l’autostima! Ovviamente queste indicazioni  vanno correlate in base anche all’età: i bambini piccoli hanno bisogno di una presenza più costante, una supervisione più attenta; mentre i più grandi possono lavorare in autonomia.

A mio avviso il messaggio che occorre far passare è che i compiti non sono una punizione e nemmeno una tortura, sono un mezzo per imparare a lavorare da soli, a gestire il proprio tempo senza alcuna pressione e per riprendere il concetto citato sopra, allenandosi non si rischia di arrugginire le competenze e le conoscenze acquisite durante l’anno.

Buone vacanze e buon allenamento!

Tutte le immagini sono prese dal web

 

 

 

Dottoressa Daniela Tagliabue

 

 

 

 

Daniela Tagliabue cel 340-7712729

[email protected]

sede di Cesano Maderno via Valgardena 3

sede di Milano via Zurigo 28 – piazza Wagner 2

 

Piccoli esploratori crescono. I bisogni emotivi fondamentali dei bambini. Ne parliamo con la Dottoressa Trivelli

Piccoli esploratori crescono

 Uno dei bisogni emotivi fondamentali dei bambini è la sicurezza, Dottoressa Trivelli cosa fa sentire sicuro “un bambino”?

Per sicurezza il bambino intende la presenza costante di un genitore o comunque di un adulto che funga da base sicura dal quale partire per andare nel mondo ed esplorarlo. Una base calda e accogliente nella quale poter tornare e fare il pieno d’amore e di sicurezza, il “carburante” per poter partire per nuove esplorazioni.

L’esigenza di questa presenza è evidente già nei primi 12/ 24 mesi dopo la nascita, un momento delicatissimo in cui il bambino costruisce dei veri e propri modelli su di sé, sul mondo e sugli altri, in questo periodo mette le basi delle relazioni e della percezione di sé stesso attuale e futura, e perdura poi per tutta la vita.

I bambini sono naturalmente curiosi e inclini a scoprire il mondo e sé stessi e imparano a mettersi in relazione col mondo che li circonda. Basti pensare ad un bambino che impara a gattonare, a camminare, a mangiare da solo, che esplora una stanza o un parco per vedere che giochi scegliere o che, con un adulto, si diverte con il gioco del cucù.

 

Consiglio ai genitori di sostenere e incoraggiare la naturale inclinazione all’esplorazione, fungendo da base sicura e veicolando un senso di presenza e disponibilità, di condivisione dell’esperienza, di curiosità e di fiducia nelle possibilità e nelle risorse del bambino.

I vantaggi? Aumento dell’autostima e del senso di autoefficacia, maggiore autonomia.

Dottoressa quello che sostiene è profondamente vero solo se il bambino ha fiducia in sé stesso può affrontare il mondo, il suo mondo e i suoi pari facendo ricorso alle sue risorse. Però non tutti i genitori sono uguali, alcuni per diversi motivi, per storie personali non riescono a reprimere la loro ansia, il senso di preoccupazione, la tendenza ad “evitare” al proprio figlio ogni possibilità di rischio. Molti vorrebbero fortemente essere più “leggeri” ma non ci riescono. Credo che ci rivolgiamo anche a loro.

In effetti se si impedisce al bambino di esplorare, se ci si sostituisce continuamente nelle azioni apparentemente difficili, si dà al bambino il messaggio “tu non sei capace”, oppure “questo è troppo pericoloso per te, tu non hai la forza, il coraggio, di farlo”, minando così l’autostima, la fiducia in sé stesso e nel mondo circostante.

Oggi sappiamo che percepire una situazione come altamente pericolosa e sentire di non avere le risorse interne ed esterne sufficienti per poterla affrontare, è un meccanismo che aumenta notevolmente il senso di insicurezza e i livelli d’ansia nel bambino.

Tutto questo riguarda quindi ciò che prova il bambino quando si trova ad affrontare una situazione, quindi parliamo di emozioni?

Esatto! Parliamo anche di emozioni, come veicoli di informazioni sul mondo e su di sé in relazione al mondo. I bambini hanno bisogno di poter comprendere e dare un senso alle loro emozioni che costituiscono un elemento fondamentale per il loro sviluppo.

L’esperienza emotiva accompagna l’individuo in tutto il ciclo di vita, alcune emozioni possono essere talmente intense da spaventare anche un adulto, per la veemenza con la quale emergono, possiamo immaginare l’impatto che hanno sui bambini.

Le emozioni possono essere destabilizzanti, per questo è necessario che il bambino senta e abbia la possibilità di poterle esprimere tutte ai genitori e agli adulti che si prendono cura di loro. Ma non basta. Le emozioni e le loro manifestazioni devono essere ascoltate, accolte, nominate per nome e regolate dagli adulti. Ci possono essere vari modi per farlo anche giocando, ma bisogna insegnare ai bambini ad esprimere, riconoscere, nominare le emozioni, in tal modo si evita che ne siano sopraffatti.

Imparando a comprendere che quello che sentono si chiama:

paura, felicità, tristezza, noia, rabbia renderà meno pesante quell’emozione!

Dottoressa Trivelli, per concludere questo breve excursus sulle necessità fisiologiche dei bambini potremmo riassumere che per permettere una “serena crescita psicologica”, bisogna “lavorare” su tre bisogni fondamentali:

Il bisogno di sicurezza;

il bisogno di esplorazione;

il bisogno di regolazione dello stato emotivo

Tutte le immagini sono prese dal web

 

 

 

 

 Dottoressa Trivelli
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