L’Arteterapia (in seguito AT): un modo per ritrovare la nostra manualità …e noi stessi. Corsi di Arteterapia per adulti, ne parliamo con il Dottor Matteo Corbetta

L’Arteterapia (in seguito AT): un modo per ritrovare la nostra manualità …e noi stessi. Corsi di Arteterapia per adulti, ne parliamo con il Dottor Matteo Corbetta

 


Dottor Corbetta in un precedente articolo

https://ilblogdiadri.altervista.org/2018/01/larteterapia-ovvero-disegno-non-peculiarita-dei-bambini-riappropriamoci-della-nostra-creativita/

 lei ci ha spiegato che l’arteterapia si può “praticare” a qualsiasi età, può parlarci della sua esperienza di AT con adulti? 

È vero non c’è alcun limite di età per iscriversi ad un corso di AT, lavoro frequentemente con bambini e ragazzi ma ho curato anche corsi per gruppi di adulti.

Quali sono le motivazioni che spingono un adulto a voler fare della AT?

In genere i corsi hanno due tipi di indirizzi proprio conseguentemente alle esigenze di chi si s’iscrive: il corso finalizzato al benessere, e il corso indirizzato a equipe di lavoro.

Per quanto riguarda il primo, sono persone animate dal desiderio di approfondire la “conoscenza di sé” tramite modalità di espressione non verbali. Nel mio caso tutto è partito dai genitori dei bambini con i quali lavoro nelle scuole, sono stati loro a dirmi “fai attività con i nostri bambini e non puoi farla anche con noi?”  e così grazie a loro ho iniziato i corsi serali per adulti.

Come si svolge un setting per gli adulti, cosa propone, cosa si fa in pratica?

Nel setting per gli adulti la modalità di lavoro è differente da quella che utilizzo in studio. In tutte le sedute i partecipanti hanno la possibilità di scegliere tra i materiali proposti per creare immagini, dopo aver ricevuto uno stimolo verbale.

Spesso prima della ricerca del materiale creo un momento di rilassamento, con una musica di sottofondo, durante il quale insegno ad ascoltare il respiro, e invito a fare spazio solo a quanto sta avvenendo nella stanza, affinché questi incontri siano efficaci è veramente necessario lasciare fuori lo stress e i problemi quotidiani. Dopo questo momento i partecipanti posso scegliere tra materiali convenzionali: matite, matite colorate, pennarelli, pastelli ad olio, gessetti, acquerelli, tempere, chine; ma anche materiali non convenzionali e di riciclo: pezzetti di stoffa, lana, bottoni, cannucce e tutto quello che trovano e stimola la loro fantasia. Una volta scelto il materiale la creazione dell’opera può scaturire dagli stimoli più svariati.

In alcuni gruppi ho proposto di creare un’immagine che li rappresentasse attraverso la scelta del materiale a disposizione “scegliete il materiale o i materiali che più vi rappresentano”, in altre situazioni siamo partiti dalla scelta di immagini predefinite o fotografie, in altre ancora da una stimolazione olfattiva con profumi ed alimenti. Sono molteplici le modalità con le quali si comincia, io credo che l’inizio debba essere soft e che molto dipenda anche dai partecipanti, se si conoscono o meno, se costituiscono subito un gruppo oppure hanno difficoltà o hanno bisogno di più tempo per lavorare insieme. Sono molto contento quando nel gruppo ci sono delle contaminazioni, anzi le ritengo fondamentali, perché circolano immagini ed energie che spesso sono condivise quasi in modo inconscio.

Dottor Corbetta in che modo lei “guida” il gruppo, perché in qualche modo anche lei deve intervenire immagino.

Sì, guido nel senso che sono il “conduttore!

Nel percorso mi inserisco con molta discrezione per apportare modifiche, spesso in modo non verbale o attraverso il linguaggio metaforico (utilizzo del materiale ecc.) o parole di supporto e accoglienza dei movimenti e dei gesti di un singolo, e poi lascio loro il tempo che occorre per diventare “gruppo”. Dopo un periodo di creazione dell’immagine si procede alla verbalizzazione

La verbalizzazione, processo successivo alla creazione dell’immagine. Può spiegarci meglio?

Nella mia esperienza, la verbalizzazione condivisa rende l’immagine ancora più viva e diventa patrimonio/storia ed espressione per l’intero gruppo. Si mescolano emozioni di gioia, di preoccupazione, a volte di sconforto fino a singhiozzii e pianti che diventano il modo di esternare ciò che la creazione dell’immagine nel processo creativo, ha portato alla superficie. Nel corso delle sedute, che solitamente non sono mai meno di 8/10 ,si sussegue lavoro individuali o di gruppo a seconda delle esigenze; si utilizzano materiali differenti si disegna, si crea e si sperimenta. Per il mio modus operandi sono solito lasciare la piena libertà, ricordo in alcuni casi di essere arrivato a procurare pezzi di legno, viti, chiodi, martello e trapano per un padre che voleva rappresentarsi utilizzando gli strumenti del proprio lavoro. Nei gruppi sono nate storie affascinanti che hanno permesso ai singoli di vedersi e rivedersi dandosi un tempo e uno spazio per il racconto dei propri vissuti e delle emozioni. Spesso mi è capitato di vedere adulti inizialmente rigidi ed impacciati lasciarsi andare e a fine percorso sentirmi dire da uomini con professioni molto “razionali”, che non si credevano capaci di “esprimere le proprie emozioni” in quel modo. Qualcuno mi ha detto di aver partecipato con qualche resistenza e di essersi poi trovato “incantato” da quello suscitava in lui tutta quella creatività..

Con il passare delle sedute a volte si propongono dei temi, io cerco di farlo senza mai imporli anche attraverso immagini che possano servire da stimolo, talvolta canzoni, brevi scene di film, racconti ecc. Altre volte lascio che siano i componenti del gruppo a creare e a proporre, ogni gruppo è diverso dall’altro, ogni percorso è specifico e dipende da numerosi fattori, io considero spesso il conduttore, cioè me stesso, come la persona capace “di sentire con la pancia ed usare la testa”.

Bellissima definizione!

Colgo lo stato del gruppo con la pancia, sono nel gruppo, lavoro nel gruppo poi però rientro nel mio ruolo e utilizzo la testa nella scelta del percorso da seguire.

Accade quindi che progetti iniziali e ipotesi di lavoro vengano spesso modificate rispetto all’idea di partenza, a volte si parte da un titolo o da una parola che poi sommata a quelle degli altri diventa una storia o un racconto collettivo. Credo che oggi ci sia una grande bisogno di parola, gli adulti hanno l’esigenza di comprendere quello che accade nella seduta, la verbalizzazione oltre ad essere la possibilità di espressione di ognuno diventa l’occasione per dare concretezza al percorso prima della chiusura della terapia di gruppo, o alla seduta di quel giorno.

In altri casi ho svolto laboratori di AT con professionisti in equipe di lavoro con l’obiettivo di far emergere, in un modo differente da quello indagato verbalmente, le dinamiche di gruppo nel team di lavoro. In questo caso il mio intervento ha promosso interazioni rimuovendo rigidità e pregiudizi presenti nella realtà lavorativa, nel setting si ammorbidivano o venivano alla luce.

Per quanto differenti le motivazioni per cui si inizia un percorso di AT, mi sembra che l’elemento comune sia il bisogno di far uscire le emozioni.

Sì, in entrambi i casi posso dire che si è poco abituati a lavorate sul sé, soprattutto nel mondo odierno dove diventa difficile ritagliarsi uno spazio per il proprio benessere interiore. Nel lavoro con gli adulti spesso sono venuti alla luce vissuti d’infanzia, ricordi di viaggi, di innamoramenti, di successi e fallimenti che hanno ricevuto una forma diversa e sono stati metabolizzati dopo aver lavorato con un linguaggio non verbale. In tal senso le immagini sono state determinanti, forti e coraggiose in quanto portatrici di significati nascosti.

Grazie Dottor Corbetta come sempre lei riesce  ad emozionarci e a trasmettere la sua passione per questo lavoro  in chi la legge, e in questo caso anche la curiosità e la voglia di intraprendere un percorso di AT. Abbiamo tutti bisogno di “fare” qualcosa che non sia giudicato, valutato, criticato, fare qualcosa che non sia necessariamente utile nel senso economico della parola, usare le mani … ne abbiamo perso l’abitudine, passiamo dalla mano  che tiene il cellulare  alle dita che si muovono sul pc. Deve essere emozionante ritrovare la propria manualità, con l’arteterapia si può. E anche ritrovare sé stessi.

Tutte le immagini sono di  © Matteo Corbetta

 

 

 

Se qualcuno dei nostri lettori (genitori, ragazzi, adulti) volesse contattare il Dottor Matteo Corbetta può scrivergli direttamente alla mail

[email protected]

3393506327

oppure al Centro di Cesano Maderno dove collabora con la Dottoressa Claudia Gorla Psicoterapeuta

Centro Koru Lab

Via Santo Stefano 10

Cesano Maderno

http://www.studiosmail.it/sede-di-cesano-maderno/