Mutismo Selettivo. Storia di V.

Mutismo Selettivo e Arteterapia.

Entriamo in un setting di arteterapia, come nel precedente articolo, anche in questo caso il Dottor Corbetta interagisce con un bambino con Mutismo Selettivo, ma questa volta il “racconto” è molto più dettagliato ed emozionante. Sì, proprio emozionante, o almeno  lo è stato  per me, sono sicura che si emozioneranno anche molti genitori di bambini e ragazzi con Mutismo Selettivo e anche tante insegnanti che sognano di sentire, un giorno, la voce del loro alunno silenzioso.

Se chiudo gli occhi io lo vedo questo bambino che corre da una stanza all’altra con i colori e i pennelli in mano, magari con il visino macchiato, qua e là, di colori sgargianti.  Sento il rumore dei suoi passi, dei suoi saltelli, la sua voce prima timida, poi squillante, descrivere al suo papà quello che vuole disegnare, riesco a immaginare  il suo parlottare mentre disegna.

Il disegno finale è un tripudio di gioia, erba, animali, fiori, il sole, il cielo azzurro…

Una meraviglia.

L’Arteterapia legata alla terapia o intesa proprio come terapia tout court è una delle possibili strade che si possono intraprendere non solo per il Mutismo Selettivo ma anche per altri disturbi legati all’ansia. Un percorso, a mio avviso, bellissimo. Quando noi siamo ansiosi di cosa abbiamo bisogno? Di un luogo calmo, dove possiamo muoverci in libertà, dove non ci venga imposta alcuna pressione, dove incontriamo persone che ci comprendono anche senza parlare.

È questo che trovano bimbi e ragazzi nel setting di Arteterapia del Dottor Corbetta.

Il bambino V. frequenta la prima elementare e ha iniziato il percorso di Arteterapia da circa un anno.

In questo articolo è il Dottor Corbetta che descrive la sua “proposta”!

Vi presento V., un bambino con Mutismo Selettivo che ha appena iniziato a frequentare la prima elementare, in modo molto tranquillo, stupendo i propri genitori e rendendoci tutti orgogliosi di lui. Attualmente non parla con le insegnanti ma partecipa a tutte le attività e si fa capire a gesti., per lui è un grande risultato, quello di essere tranquillo a scuola, di riuscire a separarsi al saluto dal genitore che l’accompagna e di vivere l’esperienza scolastica con positività.

Normalmente io e V.  lavoriamo in un’unica stanza, nell’ultima seduta ho deciso di lavorare in due stanze.

 

Ho creato un gioco di movimento in modo che potesse portare la comunicazione in due stanze diverse ipotizzando che nella stanza dove era presente il padre avrebbe potuto caricarsi, e nel passaggio da una stanza all’altra avrebbe potuto perdere un po’ il “controllo” della comunicazione.

V. era in una stanza insieme al padre.

Gli ho dato un foglio grande da fissare al tavolo, con la consegna di riempirlo tutto, senza lasciare alcuno spazio. Particolare importante: gran parte del materiale (scotch, pennarelli ecc.) si trovava nella mia stanza e il bambino  poteva  scegliere liberamente tutto quello che gli serviva.

V. ha iniziato a lavorare con il padre. Una volta steso il foglio sul tavolo, ha avuto bisogno dello scotch. Correndo è arrivato nella mia stanza e mi ha mimato la forma dello scotch. Senza nessuna esitazione ho verbalizzato “certo … lo scotch per fermare il foglio, eccolo” e V. è andato a fissare il foglio facendo rotolare lo scotch lungo il corridoio e saltellandogli accanto. Dopo lo scotch, è stato il turno dei pennelli. In questo caso ha indicato con il dito il barattolo dei pennelli, presi e portati nella stanza dove stava lavorando con il papà. In quella stanza lo sentivo parlare ad alta voce con il genitore e decidere, contrattando, l’immagine da creare.

Gli spostamenti da una stanza all’altra di corsa, con scivolate in ginocchio, giravolte e saltelli, sono stati sempre più rapidi in quanto a V. servivano sempre più colori. 

Dopo il pennello è arrivata la richiesta dei colori: dapprima con un “blu” senza aggiungere altro e via via nei passaggi da una stanza all’altra sono diventati “vorrei un altro colore … mmm (nel gesto di pensare) un azzurro chiaro”.

Con V. ho giocato a creare colori. Nella fase di preparazione delle singole vaschette contenente i due colori da mischiare V. ha iniziato a ripetere i colori che versavo e canticchiare il nome del colore che avremmo ottenuto. Anche la fase di mescolamento del colore è diventata un “rito in movimento”: V. rimaneva nella stanza con me finché aveva ottenuto il nuovo colore e poi gridava al papà che era nell’altra stanza il colore che sarebbe arrivato.

Il dialogo fra noi, mentre creava l’immagine con la collaborazione del papà, diventava comunicazione ad alta voce tra le due stanze, giocando sia sul fatto che non potessi superare il mio confine per raggiungere la loro stanza , sia che l’opera creata doveva essere una sorpresa per la fine della seduta.

La comunicazione, in questa creazione di immagini con metodo transitorio di recupero dei materiali, è diventata continua e fluida persino nel corridoio e nella mia stanza, ha riempito tutti gli spazi dello studio e ha trasformato un foglio vuoto in un paesaggio con alcuni animali volanti, quali una zanzara un’ape e una mosca che volavano nel cielo di ottobre tra la città con l’asfalto e la campagna con le pannocchie.

L’utilizzo delle due stanze ed il continuo passaggio dall’una all’altra ha permesso a V. di muoversi liberamente, con movimento sciolto;

di poter parlare in modo fluido con il papà, sapendo di essere sentito da me (che talvolta sono intervenuto sui loro discorsi dalla mia stanza, per rendere palese che sentivo quanto si dicevano);

di chiedermi il materiale in modo verbale e fare esperienza della comunicazione positiva e funzionale con un altro adulto, senza la presenza del genitore (che era in un’altra stanza), fino a far percepire con i continui spostamenti di stanze, il luogo della comunicazione come un unico luogo.

V. alla fine della creazione dell’opera mi ha chiamato ad alta voce, mi ha permesso finalmente di guardare quanto creato e mi ha verbalizzato quanto fatto.

Molto contento dell’esperienza fatta ha scelto di aiutarmi a lavare i pennelli e a sistemare la stanza.

È importante che nel corso degli incontri i bambini e i ragazzi possano sperimentare in un luogo sicuro alcune modifiche rispetto ai loro comportamenti e al loro modo di “essere nel mondo”.

Come ho già detto più volte, mi piace pensare al setting come al luogo dell’allenamento dove sperimentarsi in modo positivo, efficiente per poi trasportare nel futuro quanto esperito anche all’esterno.

V., insieme ai suoi genitori, sta effettuando un percorso positivo fatto di piccoli successi continui che portano a tutta la famiglia a percepirsi in modo nuovo, guardando con più leggerezza al futuro.

La decisione di lavorare in due stanze aveva uno scopo ben preciso: io ero nella stanza con la valigia piena piena di materiale, V. era nell’altra stanza con il padre dove stava creando il suo disegno. Due stanze, una di fronte all’altra con le porte  aperte. L’obiettivo dell’incontro era quello di rinforzare V. nella richiesta diretta a me di ciò che avesse bisogno.

Il percorso V.: nei primi incontri aveva iniziato a parlare al papà nell’orecchio ,  poi ha  utilizzato come comunicazione diretta con me, prima dei suoni gutturali e delle pernacchie, che ho amplificato in un gioco (di pernacchie!!!) e successivamente con risposte brevi “sì” e “no” a mie domande semplici rispetto all’utilizzo del materiale.

 

Articolo del Dottor  Matteo Corbetta per Il Blog di Adri (Adriana Cigni)

Se qualcuno dei nostri lettori (genitori, ragazzi, adulti) volesse contattare il Dottor Matteo Corbetta può scrivergli direttamente alla mail

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oppure al Centro di Cesano Maderno dove collabora con la Dottoressa Claudia Gorla Psicoterapeuta

Centro KORU LAB  VIA SANTO STEFANO 10

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