Ladri di parole

Qualche giorno fa mio figlio, il francese, mi ha chiesto:

cosa vuol dire “le plagiat”?
Il plagio. Anche se è grandicello in effetti, plagio, non è una parola diffusa nel linguaggio dei ragazzini, sono andata quindi subito sul Larousse francese e gli ho sfornato la definizione: si tratta di plagio quando qualcuno, nell’ambito artistico e letterario, attribuisce a sé stesso quello che ha preso dall’opera di qualcun altro.

Sempre da Larousse, “plagier”, plagiare. Qui Larousse va al sodo del significato indica come “piller”, rubare le opere altrui.

Ho spiegato a mio figlio che non è cosa rara il plagio, soprattutto in letteratura.

Spesso si dice che sono i grandi ad essere plagiati e credo che sia vero. Chi copia=ruba è qualcuno che non ha fantasia, non ha idee, creativamente e mentalmente arido al punto da dover andare a rosicchiare le idee altrui.

Insomma mamma, mi ha detto mio figlio, sono ladri?

In un certo senso sì, rubano parole per rivenderle, quindi danneggiano gli autori originali, e gli editori ma soprattutto prendono in giro lettori che sono l’anello più importante sia questa catena. Il lettore può essere l’artefice del trionfo e del tonfo di un autore.

Che sia una pagina, un’idea o un libro intero non importa: sempre di plagio si tratta.

Caro il mio figliolo, e anche cari i miei giovani scrittori, non copiate, prima di scrivere fate un viaggio dentro il vostro cuore, la vostra anima e la vostra coscienza, non c’è nulla di più esaltante di dare consistenza ai vostri pensieri, alla vostra immaginazione.

E poi oggi con la velocità di diffusione del web essere scoperti è molto più facile e in tempi brevissimi.

Ma come punire i ladri mamma?

Se si tratta di frasi, di idee, neanche le case editrici più famose si addentrano in processo costosi che rovinerebbero anche l’immagine, invece si conta molto sull’intelligenza del lettore.

Il lettore attento se ne accorge e segnala e oggi lo fa senza problemi pubblicamente. Da lì poi il danno è tutto di colui che copia, danno di immagine, di sfiducia nelle prossime opere, di reputazione. Per  plagi più evidenti scatta ovviamente la denuncia, i più severi sono gli americani.

Il lettore sa distinguere, il lettore a volte è più scaltro dell’editore.

immagine presa dal web

 

A lui va il compito di scoprire l’inganno, è lui l’esperto.

Noi possiamo solo aiutarlo a comprendere le differenze…anzi le uguaglianze! E soprattutto tenere gli occhi bene aperti.

 

 

Tutte le immagini sono state prese dal Web

 

Adriana Cigni

Questo non è un articolo , questo è un atto dovuto di ringraziamento.

Per me l’anno va da estate a estate,

foto Adri
21/04/2017
Mondello

È stato un anno particolare, speciale per me. Dal punto di vista personale, della salute, dal punto di vista “interiore”, un anno che ha dato inizio a qualcosa di molto importante e durante il quale ho affrontato esperienze bellissime e prove durissime.

Ho scelto di usare i social e il web, come questo blog per far conoscere le mie iniziative e il mio lavoro evitando al massimo notizie personali, sulla mia famiglia , e sulle mie idee perché non riesco ad adattarmi a questo frastuono, a questo “dalli all’untore”, se esprimi un pensiero in un modo o nell’altro sei accusato di qualcosa. Va bene così, continuo a stare nel mondo, sono informata ma preferisco non entrare nel calderone, probabilmente non  ne avrei l’energia giusta e sicuramente neanche la voglia per affrontarlo. Non è snobismo è proprio incapacità.

Sarà l’età, sarà che ho capito tante cose, sarà che ho scoperto che si può costruire qualcosa e andare incontro agli altri e dare una mano anche nel proprio piccolo universo, senza urlare e senza inveire.

Per me l’anno va da estate a estate, non so perché mi viene più voglia di far bilanci in questo periodo che il 31 dicembre.

È stato un anno particolare, speciale per me. Dal punto di vista personale, della salute, dal punto di vista “interiore”, un anno che ha dato inizio a qualcosa di molto importante e durante il quale ho affrontato esperienze bellissime e prove durissime.

Ho scelto di usare i social e il web, come questo blog per far conoscere le mie iniziative e il mio lavoro evitando al massimo notizie personali, sulla mia famiglia , e sulle mie idee perché non riesco ad adattarmi a questo frastuono, a questo “dalli all’untore”, se esprimi un pensiero in un modo o nell’altro sei accusato di qualcosa. Va bene così, continuo a stare nel mondo, sono informata ma preferisco non entrare nel calderone, probabilmente non  ne avrei l’energia giusta e sicuramente neanche la voglia per affrontarlo. Non è snobismo è proprio incapacità.

Sarà l’età, sarà che ho capito tante cose, sarà che ho scoperto che si può costruire qualcosa e andare incontro agli altri e dare una mano anche nel proprio piccolo universo, senza urlare e senza inveire.

Questo non è un articolo , questo è un atto dovuto di ringraziamento.

Sapete non so se posso definirmi ex timida o timida ancor oggi, so che non amo espormi, e che probabilmente sono anche troppo discreta in questo mondo di immagini e di rincorsa di like.

Questo non è un articolo dicevo è invece il mio modo di ringraziare chi acquista i libri che pubblica la mia casa editrice e chi segue il mio lavoro di volontariato e collaborazione con Milla Onlus, chi condivide quello che scrivo, le cose che organizzo, chi mi scrive via mail chiedendo riferimenti e consigli. Vi ringrazio perché date senso e significato al mio lavoro. Vi ringrazio perché non sono mai stata così creativa e entusiasta e al contempo non ho mai vissuto esperienze personali così spaventose come quest’anno.

Ci sono stati momenti in cui ho pensato di mollare tutto, i libri, la casa editrice, le formazioni, tutto.

Poi c’è stata una specie di rinascita, la casa editrice dopo prove ed ERRORI, ricomincia non da tre ma da quest’anno. Come se fosse nata nel 2017. Ciao A.G.Editions è nata, fiocco VERDE perché è un bel colore di speranza, che continui a crescere dipende da voi, da me, da chi scrive. Comunque GRAZIE , GRAZIE per la vostra gentilezza, per quelle righe che mi riempiono di gioia e di orgoglio: “ciao Adriana ti seguiamo da tempo… si vede che ci metti il cuore in quello che fai.”

Malgrado la mia discrezione avete compreso e allora questa è la strada giusta, e come dice il Maestrone Guccini

Ho ancora la forza che serve a camminare

Picchiare ancora contro e non lasciarmi stare

Ho ancora quella forza che ti serve

Quando dici: “sì, comincia!”

 

 

Adriana

Mare, dieta … La provola in costume

La provola in costume

Quando ero adolescente e pensavo all’anno 2000 mi vedevo non proprio vecchiarella, ma insomma donna matura in un ‘epoca sicuramente fantastica.

Chissà a che livello di tecnologia, civiltà, emancipazione saremo arrivati nel 2000, pensavo

Poi ho superato i 30 e ho cominciato a fare tutto in ritardo… in ritardo rispetto ai miei coetanei.

Alla soglia dei 40 ormai l’età aveva poca importanza, sono andata in campeggio (in tenda sì!) con un’amica nel Cilento, qualche anno dopo la mia vita ha avuto il suo primo vero cambiamento.

Altro che vecchiarella!

Ho lasciato il mio paese e ho seguito l’Amore.

Poco dopo, il figlio.

È passato un bel po’ di tempo. Non ho mai avuto problemi con il mio corpo. Da secca sono passata a magra, poi slanciata. E i chili presi in gravidanza sono riuscita a perderli in 2-3 anni. Ma altre cose sono accadute ne frattempo, altre prove , difficili, dolorose ma che non mi hanno piegata.

Ora la “prova costume” sta per arrivare , che poi prova non è perché i costumi acquistati l’anno scorso spero mi vadano ancora. Non è il costume il problema.

Il problema sono io e lo specchio, io e io, e io e la gente.

Una mia cara amica mi ha proposto una dieta che le ha dato il nutrizionista, dice dai facciamola insieme io ti dico cosa mangiare (anzi NON). Non ce la faccio in questo momento a mortificare il mio spirito e il mio corpo con sacrifici immani, con rinunce no, ora no.

In televisione ho sentito una donna rispondere alla domanda “ma tu ti metti ancora il bikini” , sì finché posso , poi quando sarò inguardabile non andrò più al mare.

E quindi c’è un limite al piacere di prendere il sole, di godere dei vantaggi del corpo liberato dai pesi invernali.

Se siamo belli, giovani e sodi ok. Altrimenti tutte nascoste.

Non credo che seguirò questa pratica e spero non lo faccia nessuno. Se sono o diventerò inguardabile (ma per chi, per quali canoni, ma perché devono guardare me?) , questi ipotetici censori dell’estetica allargheranno l’orizzonte dove troveranno centinaia di donne con il peso e i numeri giusti. Voglio avere il diritto di andare al mare (senza palandrana) finché campo, voglio avere il diritto di esporre il mio corpo sacrificato dopo mesi di freddi nordici , al calore e ai benefici del sole. Devo fare già i conti con me stessa e con lo specchio, devo già accettare questo corpo nuovo e amarlo e ringraziarlo per quello che mi ha dato, per la capacità di ripresa anche dopo terapie pesanti. Mi piacerebbe tanto perdere un bel po’ di chili ma se in questo momento non è possibile, che vada a quel paese la prova costume.

O come ha detto ieri mio figlio la “provola in costume”, affumicata magari.

 

Adriana Cigni

 

Maestra quando tremi…metti la giacca, non fa niente se tutti gli altri hanno caldo .

LORENA VERUCCHI

Storie di vita: convivere con il Parkinson
Dedicato a chi mi vuol bene… e anche a chi non me ne vuole…
A chi ha mille certezze …. e anche a chi ha mille dubbi…
A chi ha tutte le verità in tasca… e anche a chi ha le tasche rammendate…
A chi giudica senza appello… e a chi concede attenuanti…
Ma soprattutto a mio figlio e a mio marito, che non hanno certezze, non hanno verità in tasca, ma che si arrabbiano con me, piangono con me, ridono con me e sono davvero il più grosso regalo che la vita mi ha fatto.
Vi voglio raccontare la storia di una donna affetta dal morbo di Parkinson, malattia che colpisce anche in giovane età, e ve la voglio raccontare come un romanzo, un racconto di fasi di vita in cui questa donna si propone come persona comune, normale diremmo, che un bel giorno si ritrova diversa da come è sempre stata.
Notate che ho scritto un “bel giorno” e non un brutto giorno, volutamente. Infatti, raccontando la storia di una donna vivace e intraprendente, non posso che ritrovare me, noi, ciascuno di noi, tutti… quei tutti che componiamo la varia umanità.
Quella di cui parlo non è una donna prodigio, ma una brava studentessa, capace di superare gli esami per i concorsi e di diventare insegnante.
E’ evidente ciò che le accadrà: non si fermava mai, non era capace di restare in se stessa se non le poche ore passate a letto, quello sul quale si buttava esausta.. lei, brillante, che non aveva bisogno di niente e di nessuno..
Poi, un giorno qualunque, un braccio che non controlla più… tutto stava dicendo a quella donna “Fermati!”. Ma, non fraintendete: non “Fermati del tutto, a lavorare a maglia (con tutto il rispetto), vivendo con gli orari da casa di riposo”.. no, affatto, fermati con te stessa, ascoltati, guardati, non importa se poi lavori ventitre ore al giorno… basta che sia la tua vita e non la corsa affannata a nasconderti ciò che di più prezioso hai: te stessa, le tue emozioni imbavagliate e nascoste in fondo a te.
Abbiamo l’abitudine di affermare: “Dobbiamo lottare contro la malattia”, “Dobbiamo debellare la malattia”, “Sono stato colpito da..”, ma, in realtà, la malattia, il dolore, siamo noi, sono una parte di noi talmente inascoltata che, ad un certo punto, deve necessariamente mettersi ad urlare.. e se lo deve fare sferrando un calcio poderoso che mette k.o. tecnico, ben venga!
Solo che quella donna non ha capito. o ha preferito, in quel momento, non capire e non ha ascoltato ancora quel sé che, disperatamente, non voleva ascoltarsi. La necessità di fermarsi (per motivazioni psicologiche, per stanchezza fisica certa, eccetera) si è materializzata con blocchi muscolari nei momenti e noi luoghi più impensati.. fino a quando un neurologo ha diagnosticato il Parkinson.
Quella donna aveva bisogno di una diagnosi, aveva bisogno di combattere un morbo… ancora una volta non si stava ascoltando.
Poi, finalmente anche lei si fa la sua diagnosi, la diagnosi vera, quella che fa a se stessa…
Non si è ascoltata. Certo, le cure adoperate non risolvevano il problema, anzi ne creavano di ben peggiori, come fossero il placebo da dare alla paziente, qualcosa in cui credere, qualcosa che si pensava fosse risolutivo.
Eppure, l’unica risoluzione nessuno la trova. Non lei, perché è un cammino difficile da intraprendere; non i medici, perché non hanno alcun interesse a risolvere definitivamente i problemi delle persone, problemi che il più delle volte non colgono davvero e per i quali non hanno affatto soluzioni definitive; non altri, che sono spettatori e lettori di una vita narrata, certo, i famosi spettatori giudicanti, quelli con tutte le verità in tasca, pronti a catalogare tutti in ogni situazione.
Ed ecco che quella donna capisce: il segreto della vita è sapere quando si è al bivio, e la strada da seguire può essere l’una o l’altra, a seconda del coraggio, dell’umiltà, della preparazione.  bivio

A questo punto sono determinanti le persone amiche o i familiari, ed è determinante trovare l’aiuto giusto, risolutivo. prima di arrivare alla patologia, prima di doverci fermare definitivamente.

Non arrendersi è un pregio, certo, ma arrendersi, talvolta, lo è più grande. Arrendersi alla propria vulnerabilità, ai propri sogni, alle proprie aspirazioni. arrendersi al proprio fisico che, sottoposto ad ogni tipo di stress, vuole solo un po’ di quiete ed esprimersi finalmente come vuole, anche senza fare nulla, è spesso il più grande atto di coraggio che si possa dimostrare.

Ed è proprio lì che giace la risposta al “Perché io? Perché a me?”, 

perche-1e solo da lì si può trovare la strada per volersi bene a tal punto da non avere più bisogno di una malattia per avere un paravento alla vera ragione di vivere.

Io questa domanda me la sono fatta mille volte e, mille volte mi sono arrabbiata, ho pianto….

E POI SONO ENTRATA NELLA MIA CLASSE, TRA I MIEI BAMBINI.

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Gentili Insegnanti, il mutismo selettivo è….

Gentili Insegnanti,
l’insegnante è colui che “insegna ad imparare” ovunque nel mondo. E’ il primo approccio con il mondo esterno, è l’autorità extrafamiliare. A volte laddove c’è un vuoto culturale, uno sfascio familiare siete l’unico riferimento “sano” del bambino o del ragazzo.
Conoscevo già la vostra importanza e ora che lavoro sia in Francia che in Italia, scopro che non vi è differenza. La scuola è cruciale. Un bambino in difficoltà è un cucciolo smarrito, un ragazzo o una ragazza in difficoltà “sono anime perse”.

Da anni mi occupo di mutismo selettivo, un disturbo legato all’ansia che si manifesta nel bambino, nell’adolescente o nel ragazzo nell’impossibilità di parlare in alcune situazioni  in cui non si sente a suo agio, in particolare modo la scuola, mentre può farlo senza problemi  in famiglia o in situazioni in cui invece è perfettamente a suo agio.

Nel mio “viaggio” nell’universo del mutismo selettivo incontro bambini senza alcun problema di apprendimento non valutati, perché non si sono trovate alternative all’interrogazione orale, adolescenti isolate in classe, che interrompono gli studi alle medie. Leggo di ragazzi rosi dalla fobia sociale, impossibilitati a parlare costretti a chiedere scusa.
Un’azione così banale che per loro è come scalare l’Everest soffrendo di vertigini.
Care/cari insegnanti, lo so che avete classi sovraffollate, che lavorate tantissimo ma senza la vostra collaborazione i bambini, i ragazzi in difficoltà non ce la possono fare. Quel bambino là in fondo alla classe che non parla, che non gioca , che non partecipa, che non riuscite a “valutare”, quella ragazza che vuole scrivervi le risposte, anche se si trova proprio davanti a voi, dietro il loro silenzio hanno miliardi di parole che si rifiutano di uscire, arcobaleni di emozioni, desideri di vita immensi. E’ sacrosanto, è normale che non siate informati , ma se i genitori vi danno informazioni, valutatele. Se vi consigliano dei libri LEGGETELI!

Questi bambini e ragazzi voi li vedete come i loro genitori non li hanno visti, probabilmente, mai. Voi conoscete il loro silenzio. Il vostro è un mestiere difficilissimo, con un grande carico di responsabilità. Ci vuole un equilibrio psicologico immenso per gestire tante vite in ebollizione e certo i bambini con difficoltà non vi rendono la vita facile. Ma se vi scrivo è perché sono convinta che se esiste una collaborazione stretta e attiva tra voi-famiglia -terapeuta, il bambino in questione o il ragazzo avranno molte più possibilità di progredire nella vita. Non dico di parlare, ma progredire, acquistare fiducia in se stessi.

Adriana Cigni

Il libro sarà disponibile tra qualche giorno potete prenotarlo

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“E se fosse Amore?”

M’ama o non m’ama?margherite

Questo straziante dubbio, oggi come ieri, tormenta tantissime persone, molte delle quali si scoprono completamente cieche e vulnerabili nel dovervi cercar risposta. Alcune preferiscono non rispondere, altre addirittura negare, altre ancora delegare ogni responsabilità: meglio non saperne che doverci pensare seriamente… Sotto il cielo dell’amore, l’essere umano reagisce nei modi più stravaganti, cercando di conciliare ragione e sentimento. Possibile? Il paradosso è che, più ci sforziamo di entrare nelle logiche dell’amore, meno siamo in grado di capire cosa proviamo realmente o di rispondere al perché ci troviamo ancora in questa storia, o nell’altra, anziché fuggirla. Prigionieri delle nostre non-scelte, avanziamo singhiozzando, in cerca di risposte definitive. A volte, il dubbio su cosa proviamo non è insano di per sé, bensì conseguenza di ciò che ci aspettiamo dall’amore. Chiediamo all’amore di salvarci, di vendicarci, di scegliere al posto nostro, di darci stabilità e di non farci ripetere gli errori del passato. Deleghiamo al sentimento impossibile una pesante responsabilità, quasi a sperare fatalmente nel suo potere. Se nella fase dell’innamoramento vediamo nell’altro ciò che noi stessi vogliamo vedere, molti si ritrovano successivamente a fare i conti con il proprio disincanto, la delusione, il distacco o addirittura il rifiuto.

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Cosa spinge una persona a perseverare in un rapporto di sofferenza? Cosa porta un membro della coppia ad insistere in uno schema che ormai non funziona più? Cosa si cela dietro questa sorta di “masochismo”? Ormai gran parte delle coppie non sta insieme per amore, ma per paura. L’opposto dell’amore, quindi, non è più l’odio – come un tempo si pensava – ma la preoccupazione, il timore, l’angoscia del dover andare avanti a stento. Si ha paura di rimanere soli, di non trovare altre relazioni, di doversi rimettere in gioco. Si ha paura di invecchiare senza nessuno accanto, si ha paura di eventuali ritorsioni o di prendere una qualunque decisione, comprese quelle giuste. Vittime delle nostre stesse trame, viviamo la maggior parte delle relazioni con la paura, quasi fosse una variabile in grado di unire più dell’amore. In realtà, ogni legame basato sulla paura si rivela facilmente disfunzionale. Laddove il timore di perdersi è più forte del piacere di viversi i partner si sentono come condizionati ed il legame si struttura come una specie di dipendenza.

Eccoci dunque al nocciolo della questione: per poter affrontare al meglio questo tema occorre fare un passo indietro, partire dalla nostra persona, dal nostro copione relazionale.0001 In che modo stiamo amando? In che maniera riusciamo (o non riusciamo) a dimostrarlo? Senza sapere dove siamo è spesso difficile capire dove vogliamo andare e dove è necessario lavorare per migliorarci. “E se fosse amore?” ci aiuta a districarci nei nostri labirinti sentimentali e pseudo-sentimentali, a fare i conti con il nostro modo di amare ed essere amati, con ciò che tendiamo a negare o giustificare, a divenire consapevoli del nostro stare insieme e – soprattutto – a saper cambiare quegli atteggiamenti e quei comportamenti che si ripercuotono inevitabilmente sulla nostra vita affettiva. E se un domani, dunque, nel bel mezzo di un sentimento forte, la mia mente ballerina dovesse tornare a chiedermi: “E se fosse amore?”. Ecco, che questo libro possa indicarmi la strada da percorrere. Buon cammino.

 

 

 

Riferimenti

Il Dott. Claudio Cecchi è Psicologo e Psicoterapeuta, specialista in Terapia Breve e Formazione. Da anni si occupa delle principali problematiche cliniche e relazionali del singolo, della coppia e della famiglia. Svolge attività di formazione per contesti educativi, aziendali e sportivi, nonché coaching per atleti e artisti. Collaborano con lui Esperti in Alimentazione, Logopedisti, Mediatori e Specialisti in Psicologia Giuridica. E’ coautore del libro “Parla con me”, testo sulla comunicazione genitori-figli, pubblicato da A.G.Editions nel Febbraio 2016.

Il libro lo potete ordinare in libreria

acquistare direttamente dalla casa editrice

scrivendo a [email protected]

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Come un corridore

Sono genitore di una bambina dell’età di 6 anni che soffre di Mutismo Selettivo.

All’inizio non sapevo cosa fosse questo disturbo e quando ho iniziato a documentarmi  il primo pensiero è stato: non è possibile sarà un altro problema, mia figlia non può soffrire di questo disturbo.

In realtà, molte cose coincidevano, molti comportamenti della mia bambina corrispondevano alla sintomatologia tipica del disturbo, non restava quindi che chiedere il parere e la conferma da un’esperta, mi sono rivolto ad  una Neuropsichiatra che ha confermato i miei dubbi.

Non mi sono scoraggiato, a differenza di mia moglie che si sentiva demoralizzata perché cercava  di trovare le risposte o le cause che avessero determinare tutto questo, come accade spesso quando un figlio vive una difficoltà, si cerca le responsabilità nell’uno o nell’altro di noi genitori.

Non potevo stare fermo, ho  cercato su Internet i migliori specialisti, ho letto libri sull’argomento.

Una grande forza mi spingeva a dire a me stesso: non arrenderti, ci riuscirai.

Ho incoraggiato mia moglie, le ho detto restiamo uniti e fiduciosi, prima o poi nostra figlia uscirà dal suo silenzio, ho cercato a modo mio di applicare piccole tecniche riportate sul libro della Dottoressa Shipon- Blum,   per esempio al risveglio per mitigare l’ansia prima di andare a scuola,  quando non aveba molta voglia di andare,  facevamo una gara scherzosa in bagno per  chi riusciva a vestirsi per primo.

È ormai un anno che la mia bambina è seguita da una Dottoressa e i progressi si vedono, inutile negarlo è un percorso faticoso per noi e per lei, che spesso si sente demotivata ci sono dei momenti in cui vorremmo mandare  tutto in aria, perdiamo la speranza. Ma sono momenti, poi passano.

Continuo a credere che tutto si risolverà a volte mi viene in mente la corsa di un corridore bendato che non si rende conto del tempo e della distanza che deve ancora percorrere per raggiungere il traguardo, ma corre perché ha fiducia e sa che ci arriverà. Ecco io mi sento un po’ così senza misurare il tempo o le difficoltà che trovo sul percorso so che  la mia bambina parlerà .camminata

E trasmetto questa certezza anche a lei. Almeno ci provo.

Da qualche tempo qualcosa è cambiato, l’incontro con l’associazione Milla ONLUS e il Mutismo Selettivo In-Formazione TOUR mi  ha fatto capire che non siamo soli,   da questo incontro per ora virtuale  è nato  un meraviglioso progetto che vede realizzarsi per la prima volta in Sicilia a Palermo una giornata di formazione, sembrava quasi impossibile da realizzarsi e invece a due mesi dall’evento abbiamo avuto un’adesione straordinaria.

Questa è la mia esperienza, spero che possa risultare utile anche ad altri genitori.

Vincenzo Petitto

 

Immagine presa dal web

 

Children with selective mutism : mistakes and behaviours to avoid in classroom.

Children with selective mutism : mistakes and behaviours to avoid in classroom.

The selective mutism is a rare disorder, which usually starts in pre-school: the main and only characteristic is given by the child silence in given social situations. 

Let’s imagine a classroom. A classroom at kindergarden or primary school, but also a classroom in a secondary school.

There is a student, there at the back, she has a stiff posture, a different gaze compared to the others, sometimes she looks like a lost puppy, sometimes her eyes stare at the void, other times she is really attentive and is a good listener. She does not participate, neither raise her hand, nor even laugh.

It seems that opening her mouth to make any sound, even a laughter, requires an effort.

She does not speak neither with the teacher, nor with her schoolmates. She does not like sport or competition. It looks as if her unique goal is to be invisible. She is not autistic, nor has any physiological/functional problem which prevents her from speaking.

She observes  a lot, is clever, alert and sensitive.

The teacher speaks with the parents.

The parents describe another girl, but it’s always her, a talkative girl, an endless machine. They say that she reads well, that she is curious, cheerful and full of joy.

The symptom, the silence is called selective mutism.

Doctor Claudia Gorla, a psychotherapist with more than 100 cases solved explains : “the selective mutism is an anxiety disorder which affects children already during early childhood, generally when they attend the day care or the kindergarden, practically during their debut in society. The child leaves the family background and is in touch, for most of his day, with strangers which could threaten him. The reaction is the impossibility to speak, but not only, there is also a stiffness, a physical freezing”.

WHAT TO DO AND NOT TO DO WHEN YOU HAVE A CHILD WITH SELECTIVE MUTISM IN YOUR CLASSROOM

First of all it is important to know that the selective mutism is an SEN diagnosis.

It is necessary to collaborate completely with his family and the psychotherapist who follows the child. Without this co-operation it is difficult to create, around the child, a peaceful environment which can help him to feel at ease, because the main goal is not make the child TALK but to lower the anxiety.

“The problem is not the talking, it is the anxiety”. This is written on one of the slides which Doctors Ius and Gorla show during the IN FORMATION about selective mutism, workshops organized all over Italy. They ask the parents and teachers to forget the silence of the child.  A hard task, but necessary. They say that you have to concentrate on the abilities and put the deficiencies aside.

Silence is a symptom. It is a symptom of the  disorder which is different for every child, since every child has its own story, silence is unique and cannot be repeated.  I know it is difficult for a parent and for a teacher to forget “the silence”, one feels lost, powerless, failure is experienced too. We are not used to face silence. We want to defy, to try, just as if having the child talk could be a victory for us and not a relief for him.

Time and patience are needed.

It takes time for the child to decrease their anxiety. Once anxiety is reduced, the symptom slowly disappears too.

Have the patience to respect this lapse of time. Anxiety is a natural defense to face danger, when the threshold at which it is released is normal. “children with selective mutism are like these animals who pretend to be dead to avoid being captured by predators”, explains Dr Gorla.

When the level is low, it also begins in common situations like at school, or in presence of strangers or in new places and environments, and it difficult to control it.

Word gets blocked, it is “stuck” in the throat and it becomes impossible to speak. One strongly wants it but nothing can be done, it does not come out. There is no will in the child’s silence, it is not an oppositional behaviour, neither a tantrum, nor a prank towards the teacher or their classmates.

How can you think that a child could choose not to say “I must go to the toilet”, not to shout to his fidgety classmate “stop elbowing me», not to express his happiness, his joy for a good grade, his fondness with words.   Just try to imagine how strong the block is that it hinders the expression of his emotions.  The silence is the tip of the iceberg, the symptom, beneath everything is to be overcome, to be sorted out.

Don’t : don’t pressure speech. Don’t ask them to answer. Do not have them sit next to a smart one so as to help. Do not force him to speak. The child with a selective mutism does not have any delay in learning, they are a child like all the other. Do not make an oral exam. Replace the oral test by a written one.  Questions, doubts ? Can they at least read ? Ask the parents and then check by yourself : pronounce the word written in the book or the sentence and ask him to indicate it to you.

Organize small groups in which he can work peacefully. In case of circle time, try to find alternative systems to words, ask him to tell orally, for those who want it or in writing, or with a design.

There is also a series of tricks which can be achieved at school (go into first or after the lessons in the classrooms, one adult only with the child to bring the “word” to school, introduce a classmate, then two, and finally the teacher, etc.). They have to be agreed with the psychotherapist, with the teacher and with the child himself.  Please bear in mind that often the teachers are limited because of denied authorisations, lack of structures (care pathways) and low availability.

One piece of advice which is almost a prayer : never record the child’s voice without his permission, they would discover it sooner or later and you would lose their trust.

You can overcome selective mutism : this is good news. If diagnosis occurs early, so can the resolution. Otherwise you have to wait the necessary time needed by the child.

For children below 6, in Italy usually the psychotherapists work together with the teachers and the parents, without even seeing the kids. For children above that age, there could be a direct meeting with the psychotherapist.

Sometimes selective mutism goes on until adolescence and sometimes into adulthood. In this case everything changes, the same techniques used for young children cannot be applied at school or at home. The typical problems of this age are added to the one due to mutism.

But are time and patience also necessary in this case ? Sure, even more, because you can overcome selective  mutism sooner or later.

Adriana Cigni

translation of the article http://http://www.youreduaction.it/bambini-con-mutismo-selettivo-errori-e-comportamenti-da-evitare-in-classe/mutismo-selettivo/

translated by Françoise Vander Putten

 Phil Thomason

Senza parole #Mutismo selettivo #StudioSmail

Libri e Mutismo selettivo

Per me tutto è cominciato nel 2010 anno in cui è uscito il primo libro della scuola americana, libro che ho avuto il piacere di tradurre in italiano nel quale finalmente il MUTISMO SELETTIVO veniva considerato un disturbo legato all’ansia. Da allora ne sono accadute di cose: ko creato la mia casa editrice e ho pubblicato altri  libri su su questo argomento che spero abbiano contribuito a diffondere l’informazione sull’MS.

 

Senza parole

Bambini diversi in contesti diversi

Mutismo Selettivo

Libro pratico per genitori e insegnanti

Autrici

Claudia Gorla          Simona Ius      Federica Trivelli

Alle dottoresse ho fatto solo due semplici domande.

Perché avete deciso di scrivere questo libro?

A chi è rivolto?

“Nel nostro lavoro di terapeute crediamo fermamente nella necessità di fare squadra con genitori, insegnanti e altri adulti di riferimento dei bambini. Spesso ci viene chiesto di fornire strumenti per raggiungere tutti; da qui l’idea di un libro che descriva il sintomo e proponga strategie pratiche che possano essere adottate da tutti gli attori del sistema che include il bambino. Abbiamo scelto di dare un taglio divulgativo perché il nostro principale interesse è raggiungere non solo l’insegnante specializzato, ma anche il nonno pensionato, la mamma, il papà e l’allenatore di calcio… e contemporaneamente risponde alla necessità di noi terapeute di andare oltre il perché e concentrare gli sforzi su come stare meglio.

Il ms a volte viene erroneamente attribuito ad un comportamento di opposizione e rifiuto, con questo libro proseguiamo lo sforzo, che portiamo avanti da anni, per aiutare a leggere questi silenzi come effetto di un’ansia paralizzante.

Durante la stesura spesso avevamo la sensazione che i nostri piccoli pazienti facessero capolino dalle pagine che stavamo scrivendo e abbiamo deciso di lasciarglielo fare, perché speriamo che in questo libro si leggano la passione per il nostro lavoro e l’affetto per le famiglie che abbiamo seguito e che seguiamo.”

Ringrazio la Dottoressa Gorla, la Dottoressa Ius e la Dottoressa Trivelli per questa risposta semplice e significativa.

Spero che questo libro trovi spazio nelle biblioteche delle scuole, nelle sale d’attesa degli Psicoterapeuti, dei Pediatri, dei Medici in generale, nelle librerie degli insegnanti, degli studenti di Psicologia, delle famiglie che hanno un figlio o una figlia che soffre di mutismo selettivo.

Ora tocca a voi.

il libro potete ordinarlo in libreria

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Adriana Cigni

Ringrazio le Dottoresse Gorla-Ius-Trivelli per aver riposto la loro fiducia nella mia casa editrice.

Ringrazio Matteo Corbetta per le illustrazioni del libro e per quella della copertina che con semplicità e tratto delicato è riuscito a darci l’espressione e la postura del bambino in contesti diversi.

Ringrazio Open Art di Chiara Bruti che collabora con me con una pazienza incredibile e una gentilezza assai rara .

Ringrazio Giuseppe Testi per il suo occhio infallibile, e la sua capacità di scorgere errori che nessuno nota, oltre che un sostegno affettivo è anche un valido collaboratore.

Ora tocca a voi.

Riccardo, una storia di mutismo selettivo a lieto fine.

Una storia vera, quella di Riccardo, raccontata da chi ha una vasta esperienza di MS.
Valérie Marschall è la Presidente di Ouvrir la voix, l’associazione francese che per prima credo in Europa ha riunito genitori e  dato il via all’informazione sul MS.
Riccardo è suo figlio, non che lui ami essere ricordato o citato, i disegni e gli pseudonimi in francese e in italiano ne proteggono  l’identità. Oggi ha quasi 15 anni, ha altro a cui pensare il mutismo selettivo è qualcosa che interessa sua madre ormai…lui l’ha superato da tanti anni che forse l’ha anche un po’ dimenticato.

                                               CARISSIMI INSEGNANTI

mutismo selettivo 05

Se in classe avete alunni che non parlano, se il silenzio perdura per molto tempo, dopo aver letto questo libro potrete avere almeno il sospetto che si tratti di ms, certamente non sta a voi diagnosticare  e non dovete caricarvi di altre responsabilità.
Avvertite i genitori, consigliate loro di rivolgersi ad uno specialista, fate equipe, fate in modo che il bambino si senta compreso, come diciamo sempre “il problema non è parlare, il problema  è l’ansia”.
 Il libro lo potete ordinare in libreria
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Il costo ?
12.50€ per il libro
7€ per la versione e-Book

 

Parla con me

Il momento è arrivato.

Una nuova Collana  “Orizzonti psicologici” per aprire nuove strade, nuovi percorsi, libri da leggere ma anche sui quali riflettere, libri con cui confrontarsi.

Il primo libro della nuova Collana  è

 “Parla con me”  

Comunicare con i vostri figli è difficile?

Consigli, situazioni e soluzioni per un dialogo sereno

 

autori Claudio Cecchi (psicologo e psicoterapeuta a orientamento strategico breve.) e Chiara Mercurio (Psicologa e psicoterapeuta ad indirizzo cognitivo comportamentale).

Di cosa parla questo libro:

“All’interno della relazione con i propri figli troviamo genitori che vorrebbero avere con loro maggior dialogo, altri che lo hanno già ma desidererebbero fosse più funzionale, altri ancora che lamentano la necessità di imparare a gestire alcuni momenti di criticità familiare o genitoriale e altri che invece hanno rinunciato e si stanno limitando a non peggiorare le cose. In altre parole, ad ognuno di noi sarà certamente capitato di vivere un momento di difficoltà con i propri figli o con i propri genitori e di poter dire fra sé “dove sbaglio?” o “possibile che non capisca?”.”

Come dico spesso i libri certamente non possono guarire o risolvere tutti i nostri problemi o le nostre difficoltà, possono aiutarci a capire, questo sì possono farlo.

Possono farci uscire dal nostro isolamento, dal senso di unicità che spesso ci fa dire “capita solo a me, mio figlio/a si comporta così a causa mia..” . Non esistono formule magiche, noi genitori (lo sono anch’io!) e i nostri figli siamo e sono individui unici, ma a volte le situazioni si assomigliano, spesso le fasi cruciali della nostra vita come l’adolescenza rendono simili e condivisibili alcune problematiche. Questo libro ci permette di affrontare i nodi del rapporto genitori – figli con un pizzico di consapevolezza in più.

Non è un manuale come dicono gli autori stessi, ma è un buon supporto per aiutarci a vedere più chiaro in noi stessi. Come possiamo instaurare un dialogo sereno e armonioso  se ci sentiamo perduti e soli e incapaci, o se al contrario siamo convinti di essere perfetti e non “riconosciamo” in questo alieno che ci si oppone , NOSTRO figlio?

“Alcuni genitori possono vivere il problema o la difficoltà del proprio figlio come una colpa, come il risultato della propria incapacità o inadeguatezza a svolgere il proprio ruolo genitoriale; inoltre questo giudizio auto-diretto può espandersi anche alla valutazione di se stesso come essere umano: “Non sono una brava persona”, “Ho fallito nel raggiungimento del mio obiettivo di avere una famiglia serena e senza troppi problemi”, “Non sono capace di trasmettere disciplina”, “Se mio figlio ha un problema significa che non so proteggere la mia famiglia”, ecc.

copertina finale 2 - Copie

 

capitolo

“Quando insegnanti o genitori costruiscono aspettative negative sul bambino, prende forma in essi una sorta di “credenza patogena”, secondo la quale è lecito aspettarsi dal figlio o dall’alunno dei comportamenti sempre più problematici.

Il cosiddetto “etichettamento patologico” favorisce il fatto che l’intero sistema familiare e scolastico si relazioni con il bambino in virtù di tale etichetta. In sintesi, quando ad un bambino vengono attribuite soventemente caratteristiche negative, tutti intorno a lui cominciano a modificare il proprio comportamento nei suoi confronti, in linea con l’aspettativa definita dall’etichetta.”

Il bambino da proteggere

Tra le varie forme di preoccupazione patologica dell’adulto, un posto di rilievo clinico e statistico è sicuramente occupato dalla paura che si verifichino disgrazie o eventi catastrofici, soprattutto alle persone più care. Questo fenomeno è solito provocare notevole disagio e sofferenza, impedendo alle persone di rilassarsi, fino al punto di dover costantemente restare attenti e in allarme, pronti a prevenire o neutralizzare ogni possibile minaccia.

Questi sono alcuni stralci del libro.

Spero di avervi incuriosito e interessato.

Il libro  si può ordinare in tutte le librerie.

Si può acquistare scrivendo a me [email protected]

12.50€

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ora anche in formato eBook

Adriana Cigni

editrice A.G.Editions

[email protected]

www.ageditions.altervista.org

Abbiamo la grande opportunità di trasformare il nostro dolore in speranza e soprattutto in risultati concreti.

“Si stanno avvicinando le nuove tappe del tour informativo. Vorrei fare una riflessione: con gli strumenti che abbiamo oggi grazie al lavoro dello Studio S.m.a.i.l. in collaborazione con Milla Onlus finalmente possiamo ottenere grossi risultati modificando in positivo comportamenti e situazioni che inducono il bimbo a parlare liberamente. Premesso che noi genitori dobbiamo avere la volonta’ di “fare i compiti a casa” con l’ aiuto delle psicologhe per raggiungere i traguardi, oggi anziché chiederci se mai i nostri figli parleranno , possiamo iniziare a chiederci quando parleranno , che è una cosa molto diversa, perchè il ms è curabile. l fatto che cerchiamo di coinvolgere soprattutto le insegnanti negli incontri ha un significato preciso  esse rappresentano il lato mancante di quel triangolo (costituito da psicologo, genitori ed insegnanti appunto ) dentro cui il bambino puo’ sentirsi al sicuro ed essere stimolato positivamente. Lavorando correttamente all’ interno di questo triangolo andiamo a creare il terreno , le condizioni per cui il bimbo puo’ permettersi di abbassare l’ ansia e iniziare ad esprimere il potenziale che si porta dentro . Queste tre figure devono continuare a scambiare in modo reciproco informazioni, il tutto coordinato dall psicologo che ha un ruolo di guida . I docenti collaborativi e opportunamente formati hanno un ruolo fondamentale per arrivare ai risultati oltre ad avere il compito di segnalare per primi eventuali casi di ms . Da qui nasce il nostro caloroso invito a partecipare . Grazie.

MARIO BOCCHIO

 

 

 

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Un giorno ti giri e….

Passeggiavamo tutti e tre sotto un cielo azzurro e un sole splendente.

A sinistra un bosco, a destra la Moselle.

Sembrava proprio un giorno d’estate. Raro da queste parti.

 

 

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E capita così all’improvviso che ti giri per dire qualcosa al tuo “bambino” e… ti accorgi che non hai più bisogno di abbassare lo sguardo per parlargli. Lui è là, quasi alla tua altezza.

Quando  e come è successo?

Sta crescendo. Mi commuovo.

Ho gli occhiali da sole, nessuno si accorge.

E lo guardo con altri occhi, ancora saltettante come un bimbo felice ma è un ragazzino ormai con tante passioni, tanti interessi che non sono i miei, che non ha preso da me o da suo padre. Le ali cominciano a spiegarsi, ad aprirsi, ci vorrà ancora tempo prima che voli completamente da solo, ma le prove comincia a farle.
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La prova costume

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Ogni anno qualche giorno prima di partire mi prende un nervosismo incredibile.

So cos’è. La prova costume e non solo.

La prova di quei vestiti che qui dove vivo io non metto mai, prendisole, top, e via dicendo.

La prova costume è forse una prova con me stessa? Un confronto tra l’immagine che è tatuata ancora nella mente e quella reale che è completamente diversa. E soprattutto non accettata, da me.

Sto attenta all’alimentazione, l’unico cosa che non mi sono mai fatta mancare è la cioccolata fondente. Non importa, nessuno me la toglierà.

Faccio una vita sedentaria in un luogo dal clima inclemente, odio le palestre e posso contare solo su camminate che faccio raramente, quindi… è un mea culpa continuo.

Ma inutile girarci intorno, il primo giorno di mare è un trauma, bianchiccia con quei chili troppo che non riesci a eliminare, arrabbiata col mondo e con la magra che eri.

Mi tolgo il vestitino (Giuseppe mi dice: ma non ti metti il copricostume ? Vai al mare vestita “normale”?). Devo abituarmi, al sole, all’aria, a mostrare la ciccia, la pancia, le imperfezioni ma veramente sono tutti lì ad aspettare me, per valutarmi?

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Trattasi di super-ego o insicurezza insana?

E mi seggo per mimetizzarmi.

Ma quanto dura? Pochi minuti!

Alla fine prevale la sensazione di benessere. Percepisco il sollievo della pelle che mi dice “grazie”

Tutto il mio essere che reagisce alla luminosità, al cielo azzurro, ai colori. Al calore che mi manca tanto durante l’anno.

Un grazie che nasce dal profondo.

Mi guardo intorno e mi rendo conto che il peggior giudice sono io, il mondo se ne infischia della mia cellulite, anzi se ne infischia della mia totalità. Ah se mi assolvessi, se facessi pace col mio corpo e l’accettassi per quello che è: imperfetto ma unico.

Per fortuna dura l’incertezza dura poco poi è una storia d’amore tra me il sole, il cielo e il mare.

Vogliamoci bene, tanto.

Adriana

Signori e signore… un libro per l’estate. Le nostre offerte

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Un libro per l’estate…

offerta solidale

1 LIBRO (QUALSIASI LIBRO A VOSTRA SCELTA ) DEL NOSTRO CATALOGO

+ 5 € DI SPESE DI SPEDIZIONE (Anziché le solite 1.50€ ) = 5 copie dell’albo illustrato “Le parole interrotte”

di Patrizia Rinaldi e Bruna Troise in regalo.
In pratica solo 3.50€ di spese di spedizione.
Se siete insegnanti potete regalarli alla vostra classe l’anno prossimo, o alla scuola, oppure qualsiasi lavoro facciate, che abbiate o meno figli potete regalarli ad un OSPEDALE PEDIATRICO, ad un’associazione che si occupa di bambini, anche bambini stranieri madrelingua francesi. Insomma secondo me è una occasione per regalare uno stupendo albo d’autore e leggere un buon libro.

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Offerta un libro per l’estate

PRMO4

Un bambino come tutti gli altri

Questo non è un « progetto », non c’è uno scopo preciso, non c’è alcuna azione commerciale, c’è solo un’idea : mostrare che il bambino che soffre di #MUTISMO SELETTIVO non è il suo Mutismo è anche altro. È un bambino che sogna di diventare un supereroe, che gioca a calcio, che si tuffa in piscina.

Insomma un bambino che ha tutto un mondo dentro che prima o poi uscirà.

Ho chiesto agli artisti  che conosco e anche a quelli che non conosco di regalarmi un disegno che esprimesse tutto questo e stanno rispondendo. Ma volevo un disegno che uscisse dai soliti cliché del bambino triste, della bambina con la mano sulla bocca. Un disegno in cui si possa riconoscere, anche sorridendo, chi vive questo disturbo.

Per ogni disegno invento una didascalia che traduco in varie lingue grazie all’aiuto di amici in varie parti del mondo. Tutto gratuitamente solo per diffondere un messaggio, per far conoscere questo disturbo, per uscire dall’invisibilità silenziosa questi bambini, ragazzi, giovani e adulti.

Se non ci aiuta l’arte… chi mai?

Per ora… ma sono solo i primi in ordine cronologico

ATTENDO TANTE ALTRE ILLUSTRAZIONI!

MIRCO MASELLI

SILVIO MACCARRONE

TIZIANA RINALDI

SANDRA DEMA

 

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mirco inglese

 

 

 

 

 

 

 

mirco spagnolo

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                      SILVIO MACCARRONE

 

maccarrone francese ingles silvio spagnolo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sarò Bre’ in poche parole

A.G.Editions annuncia  la nascita di una nuova Collana Sarò Bre’ (mi raccomando con l’apostrofo e non con l’accento!)

cicogna

 

 

 

 

 

Il primo libro, spero di una lunga serie , è “Vivo a frasi alterne” a cura di Pietro Gorini. 

Lascio al curatore di questa raccolta il compito di spiegarci di cosa si tratta.

Pietro GORINI

“Scrivere Breve Pensare Lungo” questo è il motto di Sarò Bre’, il gruppo nato su Facebook nell’estate 2015.

Sarò Bre’ è un gioco, un gioco letterario, con una sola regola:

scrivere frasi originali lunghe al massimo 10 parole.

Per le parole in più, forbici! (simbolo di Sarò Bre’).

 Viviamo nel tempo della brevità, 160 caratteri per gli sms, addirittura 140 per un tweet. Ma non sempre brevità significa anche intelligenza, densità di pensiero. Questa è la sfida di Sarò Bre’.

 Immagine1 - Copie (3)

Aforismi, battute, giochi di parole, poesie, in un anno di vita gli autori di Sarò Bre’ hanno sfornato migliaia di frasi. Le più belle sono state raccolte in due antologie “Ah! Ah! Ah! Cercasi amore vivo o morto”, e il nuovo “Vivo a frasi alterne”, che comprende le 660 frasi finaliste del 1º Premio Sarò Bre’ -Velletri Ridens.

In un anno di attività il Gruppo Sarò Bre’ ha prodotto, oltre che migliaia di frasi:

 

  • 2 libri
  • 4 show, di cui uno di beneficenza, con la partecipazione di decine di autori.
  • un laboratorio sulla scrittura breve al femminile presso l’Università Federico II di Napoli
  • il 1º Premio Sarò Bre’ – Velletri Ridens, che si concluderà il 25 giugno xon la, premiazione delle migliori frasi nelle Categorie Aforismi-Battute-Giochi di Parole – Poesie – Premio del Pubblico.

 I fondatori di Sarò Bre’ : Pietro Gorini, autore, Roberto Dal Prà, sceneggiatore, Tommaso Gorini, libraio, Silvana Maja, regista, Igor Patruno, scrittore, Gianfranco Tartaglia, disegnatore.

 Iscriviti su fb a Sarò Bre’ gruppo aperto, e posta le tue frasi originali lunghe al massimo 10 parole.

 Ecco due frasi che esprimono bene lo spirito di Sarò Bre’

 “Sarò Bre’. La tesi è la sintesi” (Vincenzo Nizza)

“Sarò Bre’ è un’arma di distruzione di massime”. (Luigi Marchegiani)

https://www.facebook.com/groups/849553068463681/?fref=ts

 

10€

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Quando la coppia non riesce più a parlare: 5 cose che devi sapere. Dr. Claudio Cecchi

Quando la coppia non riesce più a parlare: 5 cose che devi sapere

Uno dei metodi più efficaci per imparare a dialogare efficacemente con il nostro partner consiste proprio dal trarre profitto dai nostri errori comunicativi più frequenti. In altri termini, come suggerisce l’anitica saggezza cinese, “se vuoi drizzare una cosa, devi prima imparare tutti modi per storcerla di più“. Quali sono gli errori comunicativi più diffusi all’interno della coppia? Ecco alcuni degli ingredienti considerati perlopiù fatali:njetwork182

  • PUNTUALIZZARE: Poche cose sono così fastidiose come sentirsi sempre spiegare e precisare come stanno le cose e come dovrebbero essere per funzionare meglio. Analizzare e discutere a livello razionale qualcosa che ha a che fare soprattutto con le sensazioni, le emozioni ed i sentimenti, impoverisce il legame;
  • RECRIMINARE: Quando ad essere puntualizzate sono le responsabilità e le colpe del partner, si può parlare di recriminazione. Chi recrimina, il più delle volte, finisce per colpevolizzare. E poiché nessuno desidera sentirsi puntualmente in colpa, tali tentativi finiscono per essere spesso vani e distruttivi;
  • RINFACCIARE: Rispetto alle precedenti, colui che rinfaccia si pone spesso come vittima e utilizza la propria sofferenza per indurre l’altro al cambiamento. Poiché chi si pone come vittima crea spesso i suoi aguzzini, anche questo intento risulta frequentemente vano, inasprendo il disagio emotivo;
  • PREDICARE: Chi si avvale della predica trasporta nella relazione i canoni del sermone morale e religioso. Spesso parte da ciò che è giusto o no a livello morale e lo utilizza per criticare il comportamento altrui, finendo per provocare nel partner rabbia e ribellione;
  • BIASIMARE: E’ un ottimo modo per non far senire mai sufficiente la propria dolce metà. Colui che biasima è solitamente una persona perfezionista ed ha come una lente d’ingrandimento su tutto ciò che si distacca anche minimamente dai propri standard o dalle proprie aspettative.

Dialogare efficacemente è una vera e propria arte e, come tale, può essere quotidianamente allenata. Magari cominciando proprio con quelle persone che sono più facilmente sotto tiro. La nostra relazione ed il nostro partner ne saranno enormemente grati.

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L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare, ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi” O.Wilde

Famiglia: Di che modello sei? Dr. Claudio Cecchi

Già nel 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo definiva la famiglia come “l’elemento fondamentale e naturale della nostra società“. Se a ciò aggiungiamo che l’essere umano è per natura sociale, quindi non programmato per stare solo, dovremmo considerare la famiglia addirittura come parte della natura stessa dell’uomo.association-des-familles-de-roubaix-et-environs

La descrizione delle varie tipologie di famiglia, in relazione ai diversi stili educativi nei confronti dei figli, è stata ampiamente studiata. Le ultime ricerche-intervento in materia hanno individuato alcuni modelli che non possiamo definire sani o patologici di per sé, bensì in grado di rappresentare una risorsa per la crescita e lo sviluppo dei figli, così come un ostacolo o un impedimento se irrigiditi nelle loro caratteristiche interattive e relazionali.

Da un punto di vista psicologico orientato alle soluzioni, se è vero che modalità comunicative e relazionali irrigidite possono portare alla “malattia” del sistema familiare, è altrettanto vero che riorientando tali modalità è possibile arrivare rapidamente alla “salute” del sistema stesso e dei suoi protagonisti, andando a riequilibrare ciò che prima sembrava totalmente compromesso.

Ma quali sono e che caratteristiche hanno i modelli familiari maggiormente diffusi nel nostro Paese? Dal mio punto di vista, ne esistono 4 ben più diffusi rispetto agli altri. Proviamo a fare un piccolo passo all’interno di questo Universo, cercando di suggerire una riflessione sul proprio modello e stile familiare, così da poter scoprire non come cambiarlo, ma come utilizzare al meglio le nostre risorse.

  • Modello Iperprotettivo: Il vero obiettivo dei genitori è cercare di rendere più facile possibile la vita dei figli. Babbo e mamma si adoperano per eliminare loro ogni ostacolo, affiancandoli o sostituendoli nel fronteggiamento delle difficoltà, al fine di poterli far vivere al meglio. Non sono rare espressioni quali: “Dicci cosa ti manca e te lo procureremo noi” oppure “Lascia stare, ci pensiamo noi“. Generalmente, dietro a queste buone intenzioni, si cela un messaggio piuttosto pesante e squalificante per il figlio. Se da un lato, questo può percepire amore e protezione – dall’altro – il costante aiuto alimenta il suo senso d’incapacità personale, per il quale non riesce più a fare niente senza l’intervento dei suoi cari. Alla lunga, questi ragazzi possono sviluppare disturbi d’ansia, senso d’insicurezza personale, bassa autostima e scarsa fiducia nelle proprie capacità;family
  • Modello Permissivo: Genitori e figli sono dei veri e propri amici in cui domina la totale assenza di gerarchia familiare. Al fine di preservare e mantenere l’armonia del sistema, si concordano delle regole che possono essere violate e rinegoziate se giudicate troppo rigide dai figli. I genitori non riescono ad essere delle guide, né a supportare i figli nel loro percorso di vita: sono percepiti perlopiù come degli amici con cui confidarsi. Nel tempo, i figli possono sviluppare forte intolleranza alle regole sociali, oppositività, violenza, scarsa capacità di resilienza personale e frustrazione.
  • Modello sacrificante: I genitori esonerano i figli da qualunque dovere e responsabilità, sacrificandosi per soddisfare ogni loro piacere e desiderio. Babbo e mamma danno ai figli senza chiedere mai nulla in cambio, coltivando l’idea di esser prima o poi ricompensati. Sacrificando se stesso, a discapito della propria identità personale, il genitore non viene percepito come modello da seguire, fallendo miseramente la missione di voler trasmettere ai figli il valore del sacrificio. Il figlio impara molto difficilmente a meritarsi le cose e a credere che sia necessario lottare per ottenere ciò che si vuole. A lungo andare, chi cresce in un modello simile, può sviluppare scarsa capacità di “lotta” e di conquista, capitolando spesso di fronte alle difficoltà. Può manifestare problemi di natura relazionale e sociale, facendo molta fatica a discrimanare le situazioni e a pianificare il da farsi.images
  • Modello delegante: I genitori delegano ai nonni o alla scuola le decisioni relative ai propri figli, abdicando spesso per il troppo lavoro o per il poco tempo a disposizione. I figli imparano ben presto tutte le strategie per poter ottenere ciò che vogliono dai delegati, facendo leva sulle loro peculiarità emotive e caratteriali. Avendo molte/troppe figure di riferimento, le regole acquistano un valore a seconda delle situazioni e dei protagonisti in gioco, finendo molto spesso col risultare una sorta di “torna comodo”. I figli appartenenti ad un modello delegante possono sviluppare scarsa capacità di rispettare le regole e di trovare punti di riferimento stabili. Possono fare molta fatica a confrontarsi con gli altri, creando rapporti occasionali o opportunisti.

Dr. Claudio Cecchi

Email: [email protected]

Non c’è niente che ti rende più folle del vivere in una famiglia, O più felice. O più esasperato. O più sicuro” J.Butcher

Le parole che si “incastrano” in gola

Le parole che si “incastrano” in gola

Il tempo e la pazienza.

Su una slide che le relatrici delle formazioni sul Mutismo selettivo ci mostrano c’è scritto « il problema non è il parlare, il problema è l’ansia » e invitano genitori e insegnanti a dimenticare il silenzio del bambino.

Difficilissima impresa, ma necessaria. Concentrarsi sulle capacità, ci dicono, e mettere da parte le mancanze.

Il silenzio è un sintomo. Il sintomo di un disagio che è diverso per ogni bambino, perché ogni bambino ha una sua storia, è unico e irripetibile.

So che è difficile per un genitore e per un insegnante dimenticare « il silenzio », ci si sente persi, impotenti, si prova una sensazione di fallimento. 

Noi adulti non siamo abituati ad affrontare il silenzio di un bambino.

Il silenzio fa venir voglia di sfidare, di provare tecniche e sistemi complicati.

Piccoli ricatti : se non parli non ti porto…

Piccole seduzioni: se parli ti compro…

Piccole provocazioni.

EVITATE !!! RICATTI, SEDUZIONI, PROVOCAZIONI

Ci vuole tempo e pazienza.

Il tempo necessario al bambino per abbassare la sua ansia.

La pazienza di attendere senza caricarlo del peso dell’aspettativa.

Ridotta l’ansia scompare mano a mano anche il sintomo.

I tempi quelli del bambino.

L’ansia è una difesa naturale per affrontare i pericoli, quando il livello di soglia in cui scatta è normale.

Quando la soglia è bassa, scatta anche in situazioni banali  o in presenza di estranei, o in luoghi e ambienti nuovi e ovviamente a scuola ed è difficile da controllare.

La parola si blocca, si « incastra » nella gola e diventa impossibile parlare.  Si vorrebbe fortemente, ma non c’è nulla da fare, non esce.

Non c’è nessun comportamento oppositivo, nessuna volontà.

Come si può pensare che un bambino o un ragazzino possa scegliere di non dire «devo andare al bagno  », di non urlare al suo compagno esagitato « smettila di darmi le gomitate », di non esprimere la sua felicità, la sua contentezza per un bel voto, la sua delusione, il suo affetto a parole.

Pensate a quanto deve essere forte il suo blocco per poter impedire la verbalizzazione delle sue emozioni.

Questo ho imparato dalla Dottoressa Claudia Gorla e dalla Dottoressa Simona Ius durante le formazioni.

 

Adriana Cigni

Abbiamo creato un gruppo chiuso dove potrete porre delle domande e scambiare opinioni con le Psicoterapeute dello Studio S.M.A.I.L.

Ci ritroviamo là

https://www.facebook.com/groups/1032410690182373/?fref=ts

Ordinare le parole, ordinare la mente

Ordinare le parole, ordinare la mente

Una frase ripetuta con le medesime parole, ma in ordine diverso, non è più la stessa frase. Questa sorta di assioma può risultare assai banale ai nostri occhi e, ancor più sottovalutato, potrà sembrarci l’effetto che determinate espressioni linguistiche, ordinate in maniera diversa, possono produrre nella nostra mente e sui nostri pensieri.

Si consideri, ad esempio, una situazione di questo tipo:

«Due novizi si recarono dal padre spirituale. Il primo novizio chiese: “Padre, posso fumare mentre prego?“. E fu cacciato per la sua insolenza. Il secondo novizio chiese: “Padre, posso pregare mentre fumo?”. E fu lodato per la sua devozione».

Il nostro linguaggio verbale, così come la nostra comunicazione non-verbale, influenza gli altri, così come noi stessi. Se da un lato comunichiamo continuamente, al punto che molti dei nostri processi linguistici avvengono in modo semi-automatico, dall’altro avremo certamente notato come, nelle nostre interazioni, il risultato cambia in base ai toni, ai sorrisi, agli sguardi e a tutto ciò che influenza e classifica il nostro messaggio. E questo vale anche nella comunicazione con noi stessi! La nostra percezione delle cose cambia a seconda di come costruiamo le nostre realtà.

A tale proposito, il grande filosofo e matematico B.Pascal, nella sua famosa opera “Pensieri”, ha evidenziato come nel linguaggio scritto e parlato “è l’ordine delle parole a determinare il prodotto finale“. Le stesse parole, in ordine diverso, creano qualcosa di nuovo: anche per noi.

Diario di bordo. Breve bilancio

Diario di bordo

 

In questi giorni del tour ho usato poco il pc, dopo tanto lavoro per preparare gli eventi avevo bisogno di immergermi nella realtà.

Incontrare le persone, sentirle per telefono, gettare le basi per nuovi incontri e perché no? Nuove iniziative, nuovi progetti!

Il progetto Mutismo Selettivo in-formazione Tour ha preso forma, si è concretizzato.

L’impatto è stato bellissimo, tutto è andato bene, sono soddisfatta, per me è stata un grande prova.

 Un consiglio per tutti: non si finisce mai d’imparare. La curiosità e la voglia di fare nuove esperienze fanno bene alla mente e al corpo.

Mettetevi in gioco.

Non c’è un limite di età, anzi il cervello più lavora, più elabora e più e vi stupisce.

A me è successo. 

Certo sono stata fortunata, supportata e sostenuta in questo progetto, ma le 4 formazioni sono anche il frutto di un intenso lavoro di tutto il mese di gennaio.

Umanamente il bilancio è positivissimo, professionalmente ho acquisito esperienza e ho allargato il pubblico di lettori.

Perché accanto all’impegno per l’Associazione resta prioritario il mio lavoro di editrice.

Ci si potrebbe domandare:

qual è stato e qual è lo scopo di questo progetto?

Diffondere informazioni sul Mutismo selettivo.

Gli incontri erano aperti a tutti ovviamente, ma abbiamo lavorato tantissimo per diffondere la notizia tra gli insegnanti.  E ci siamo riusciti.

Il 95 % dei partecipanti alla IN-FORMAZIONE  in tutte e 4 le città erano insegnanti.

Questo è un dato importante, un successo per tutti.

 Per tutti in assoluto.

Per i genitori, per chi vive il disturbo, per gli psicoterapeuti e per gli insegnanti stessi che hanno acquisito uno strumento in più, un’informazione in più  che potrebbe facilitare il loro lavoro.

Non ho contato realmente le persone, in ogni città ci sono stati degli assenti e delle persone che hanno partecipato senza iscrizione, iscritti erano circa 200.

Senza peccare in eccesso o in difetto posso dire che abbiamo raggiunto circa 170 persone.  Ma non stiamo partecipando ad una gara, le formazioni sono gratuite, gli attestati anche, i numeri non servono a “vantarsi”, servono  solo a valutare l’utilità di questi incontri, il fatto che ci sia una larga adesione, che io riceva “inviti” a organizzarne in tante città è un segnale importante, una risposta precisa alla domanda “vale la pena di andare avanti in questo progetto itinerante?”. Sì.

Un bilancio?

Sono molto contenta, ho imparato molte cose, ho accumulato esperienza, ho fatto qualche errore, qualche piccola defaillance ma credo che tutto sia andato bene.

Ma l’importante è che le informazioni delle relatrici siano passate al pubblico presente, io ho solo creato l’evento ma la formazione l’hanno curata loro e solo loro

Per quanto mi riguarda ora mi rimetto al lavoro, ci sono nuove tappe, nuovi incontri da preparare, tante persone da registrare .

Se qualcuno aveva dei dubbi su un’eventuale incompatibilità tra il mio lavoro di editrice e il mio ruolo di organizzatrice credo che tutto ormai sia chiaro e trasparente, i libri A.G.Editions sul mutismo selettivo sono disponibili alla fine di ogni incontro per chi vuole acquistarli, semplicemente. Liberamente.

Mi dispiace non aver potuto dedicare più tempo e ascolto alle mamme che ormai sono diventate  mie amiche, e a tutte le persone che mi hanno contattata via mail e mi hanno conosciuta in occasione d egli incontri. Avete ormai tutti i riferimenti per trovare me le Dottoresse e l’Associazione Milla Onlus.

Ringrazio la Dottoressa Gorla e la Dottoressa Ius per la totale fiducia che hanno riposto nelle mie capacità di organizzatrice di eventi. Credo di essere stata molto fortunata, tutte le sedi d’incontri sono state scelte o tramite segnalazioni di amici o

da me via internet. Ho trovato gentilezza e disponibilità ovunque e anche sale adattissime agli eventi. Grazie.

Un grazie immenso a Milla Onlus che mi permette di dare concretezza a idee e progetti, senza il totale finanziamento dell’associazione non ci sarebbe  il progetto.

Al prossimo TOUR

Adriana

 

P.S. se volete che la Formazione si svolga nella vostra città scrivetemi, faremo il possibile per raggiungervi.

[email protected]

 https://www.facebook.com/Mutismo-Selettivo-In-Formazione-TOUR-1675342602747129/?ref=hl

 

 

 

 

Parla con me di Claudio Cecchi e Chiara Mercurio

 Comunicato  A.G.Editions

Per la nuova

Collana  « Orizzonti psicologici »

il nuovo libro 

PARLA CON ME

Comunicare con i vostri figli è difficile?

Consigli, situazioni e soluzioni per un dialogo sereno

 

Autori

Claudio Cecchi   Chiara Mercurio

 

Perché questo libro in un momento social-culturale in cui si dibatte molto di genitorialità?

Ho posto la domanda agli autori.

 Dottor Cecchi:

 “Parla con me” nasce dall’esigenza di rispondere a tanti genitori che, preoccupati dall’assenza di dialogo con i propri figli, ci hanno più volte chiesto spiegazioni circa il “ben parlare” ed il “ben operare” con loro.

Perché mio figlio non mi parla più?”, “Perché mia figlia è così preoccupata?”, “Perché sei sempre così arrabbiato?”, e via discorrendo… Quante volte ci siamo fatti queste domande, provando a trovare delle risposte più o meno possibili? E quante volte abbiamo provato a capire cosa potesse esserci dietro quel preciso comportamento? Ecco, “Parla con me” vuole andare in aiuto di tutti coloro non hanno ancora trovato risposta alle loro domande, seguendo un’ottica costruttiva e cercando di dare dei piccolissimi suggerimenti in merito alle varie situazioni genitoriali.

Rabbia, paura, dolore, senso di colpa… I nostri modi di comunicare e relazionarci con i nostri familiari sono spesso in grado di creare situazioni e realtà basate su emozioni ben poco piacevoli! Se, quindi, la nostra comunicazione è in grado di costruire dinamiche familiari “colpevolizzanti” o in cui sentirsi spesso “tesi o allarmati”; è altrettanto vero che sempre dal nostro linguaggio e dal nostro comportamento passano le possibili soluzioni. “Parla con me”, a questo proposito, fornisce dei piccolissimi suggerimenti – indicati sotto forma di psicosoluzioni – in grado di rispondere alle situazioni in esame.

Uno dei paradossi dei nostri giorni è che, se da un lato le occasioni di comunicazione e scambio sono decisamente aumentate con l’avvento ed il progresso della tecnologia, dall’altro, le occasioni di crescita, conoscenza reciproca e confronto attraverso il dialogo, sono paradossalmente diminuite. Troppo spesso, soprattutto nell’ambiente familiare, assistiamo ad espressioni poco eleganti e che a volte ci sembrano inevitabili di fronte alla forte incapacità di stabilire un contatto, una relazione, tra genitori e figli. Ci sentiamo sempre più frequentemente non capiti, fraintesi ed incapaci di creare una relazione funzionale.

 Dottoressa Mercurio:

 “Parla con me” nasce dall’osservazione nella nostra pratica clinica, e non solo, che la difficoltà di comunicazione tra genitori e figli molto spesso è fonte di sofferenza e di stress per entrambi. Ecco che nascono incomprensioni, litigi frequenti, la sensazione di non essere sostenuti, protetti, appoggiati, capiti, amati, rispettati, stimati; e questo è, frequentemente causa di molti scontri e problematiche sia a livello personale che familiare. Il testo vuol mettere in luce alcune delle problematiche legate alla comunicazione e offrire, senza la pretesa di dare la soluzione definitiva e assoluta, indicazione concrete e mirate per affrontare l’impasse in modo più funzionale alla relazione affettiva.

“Parla con me” non vuol essere certo un manuale “perfetto genitore” e neanche una dispensa di “buoni consigli”. Prende in considerazione, a partire dalla nostra esperienza professionale e personale, le sempre più complesse relazioni tra genitori e figli. Ciò su cui abbiamo ritenuto importante e necessario concentrare il focus non è tanto la comunicazione in sé, ma quella particolare comunicazione che trasmette accettazione, comprensione, senso di sicurezza e appoggio: quella che si fonda sulle emozioni.

Come sottolineato nel testo “non si può non comunicare”, perciò quello che resta da fare è essere un po’ più consapevoli di ciò che stiamo comunicando ai nostri figli, partendo dalla domanda: “cosa vorrei insegnare e trasmettere a mio/a figlio/a?”.

Il primo obiettivo che ci siamo posti è proprio quello di aiutare il lettore ad osservarsi e prendere coscienza di ciò che sta comunicando. Questo è il punto di partenza per qualsiasi cambiamento si voglia apportare alla propria comunicazione, e non solo.

Grazie! Certamente non sarà un manuale  “del perfetto genitore” come dice la Dott.ssa Mercurio, ma è pur vero che spesso noi genitori ci sentiamo inadeguati, non all’altezza del nostro ruolo e avere qualche consiglio, qualche pista da seguire ci può essere molto utile. Quindi  è un libro per tutti? A chi è rivolto?

 Dottor Cecchi:

Il testo si rivolge principalmente a tutti i genitori, siano essi separati che coniugati. In secondo luogo, considerando che i protagonisti dell’educazione dei nostri figli sono anche gli insegnanti, gli educatori, gli animatori dei centri ricreativi e/o sportivi ecc, e tenendo presente che tutti coloro che operano con i ragazzi di oggi non possono non considerare il loro mondo emotivo, il loro linguaggio, il loro tessuto relazionale, “Parla con me” è fortemente consigliato anche a tutti coloro che si occupano di educazione.

Dottoressa Mercurio:

 “Parla con me” è rivolto a chiunque voglia, a poco a poco, prendere consapevolezza del proprio modo di comunicare, senza colpevolizzazione o recriminazioni, ma semplicemente con l’intento ultimo di modificare, poco alla volta, cosa e come stiamo comunicando; con lo sguardo rivolto alle conquiste future e non agli errori passati.

Questo libro è rivolto a tutti coloro che si relazionano quotidianamente con bambini e adolescenti. Certo, si rivolge prevalentemente alla comunicazione tra genitore e figli ma lo riteniamo un validissimo supporto anche per coloro che per motivi lavorativi sono coinvolti nell’educazione dei minori, e che spesso trascorrono molte ore con loro: parliamo di insegnanti, educatori, allenatori, ecc.

Ovviamente non dimentichiamo altri familiari come nonni, zii, ecc.

Parla con me

Claudio Cecchi Chiara Mercurio

A.G.Editions

12.50 €

Il libro è disponibile, lo potete acquistare su amazon.it 

o scrivendo a 

 

scrivendo a [email protected]

copertina finale 2

Le 5 frasi in grado di far sentire sempre in colpa tuo figlio. Dr. Claudio Cecchi

Le 5 frasi in grado di far sentire sempre in colpa tuo figlio

Se continui così tua madre si ammalerà a causa tua!

Frasi come questa e come altre che vedremo in seguito sono perfettamente in grado di far leva emortivamente su quello che comunemente viene chiamato “senso di colpa” e che, ancora oggi, continua a influenzare significativamente la crescita, lo sviluppo ed i comportamenti di molti bambini. In parole povere, come tutti noi sappiamo, il senso di colpa funziana in questo modo: qualcuno di per te significativo (o comunque in ambiente significativo, come a casa o sul luogo di lavoro) ti invia un messaggio per il quale tu, facendo o non-facendo, dicendo o non-dicendo, sei destinato a risultare “cattivo”. Qualunque risposta o non-risposta da parte tua non riesce a placare quell’emozione negativa che ormai il messaggio ricevuto ha scatenato in te stesso. Se poi pensiamo che spesso i destinatari di questi messaggi sono perlopiù i bambini e che quindi fanno molta fatica a replicare nei confronti dei loro genitori o di persone con cui hanno un legame significativo, eccoci spiegata l’enorme frustrazione che emerge in loro. Non soltanto hanno ricevuto un messaggio negativo, ma a dirlo (magari più volte) sono state le persone che in realtà dovrebbero dare e far sentire loro amore e protezione.

Detto ciò, è bene sottolineare che il senso di colpa, sebbene possa avere origini lontane come nell’infanzia o nell’adolescenza, può avere evidenti conseguneze anche nel presente. E questo non soltanto come residuo infantile, ma come una vera e propria modalità ricorrente a cui genitori e adulti fanno spesso riferimento nei loro tentativi “educativi”. Ecco perché ci si può sentire spesso irritati, offesi e depressi per una cosa già succesa o per ogni richiamo presente ad una modalità ormai consueta e che ci ferisce fin da piccoli.

Immagine Piero Vanessi

Ma quali sono le frasi più ricorrenti di un genitore in grado di far sentire in colpa i propri figli?

  1. IO MI SONO SACRIFICATA PER TE! SEI UN’INGRATA!“: Con questa frase il genitore richiama alla tua mente e alla tua memoria tutte le volte in cui ha dovuto sacrificarsi per te, rinunciando alla sua felicità per il tuo bene. Il genitore vuole quindi sottolineare come abbia subito tale scelta e come sia stato costretto a rinunciare a tutto ciò di cui avrebbe potuto godere. Nel frattempo, tu ti domandi come hai potuto essere così egoista, “obbligando” i tuoi genitori a non-avere una vita libera;
  2. 17 ORE IN SALA PARTO E QUESTO E’ IL RISULTATO!“: Ed ecco che la tua colpa è ancora più evidente… Per uscire dalla pancia di tua madre hai impiegato davvero troppo tempo e, con la vita che senso-di-colpastai conducendo, non la stai ripagando di cotanta fatica;
  3. SONO RIMASTO CON TUA MADRE SOLO PER TE!“: Il matrimonio di tuo padre non sta funzionando e la colpa è anche e soprattutto tua;
  4. CI HAI FATTO FARE UNA BRUTTA FIGURA… ORA COSA PENSERA’ LA GENTE DI NOI?“: Ogni probabile/possibile errore viene puntualmente demonizzato, al punto tale che il problema non è più l’eventuale errore commesso (per cui magari stai anche soffrendo), ma il senso di vergogna che stai facendo provare ai tuoi cari a causa tua;
  5. MI FARAI MORIRE!” O “MI VERRA’ UN ESAURIMENTO NERVOSO!“: Il tuo modo di fare, così poco condivisibile, non soltanto viene puntualmente disapprovato, ma è causa di un probabile infarto o esaurimento dei tuoi cari.

 

Il senso di colpa può alla lunga determinare vari disturbi di carattere psicologico, come ad esempio l’indecisione, l’insicurezza, l’ipocondria, paure di varia natura e bassa autostima. Per fronteggiare e risolvere tali disagi psicologici è spesso necessaria una psicoterapia focale, volta al superamento di tai difficoltà che, in un copione ridondante come quello descritto, non possono esser risolte se non attraverso l’aiuto di qualcuno.

 

La nostra colpa maggiore sta nel preoccuparci delle colpe degli altri” K.Gibran

Immagine PIETRO VANESSI presa dal WEB

CONTATTI

STUDI DI PSICOLOGIA & FORMAZIONE – AREZZO

Via Campo di Marte 11 (Ar), 1° piano

Tel: +39 328 2746724

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L’ansia di affrontare la giornata. Dr. Claudio Cecchi

Ogni mattina vi svegliate con una certa preoccupazione per la giornata che dovete affrontare? Vi sentite battere forte il cuore o il magone in gola fin da quando aprite gli occhi? Avete perso ogni entusiasmo e ogni piacere nel fare il vostro dovere?

Beh, se vi trovate in questa situazione significa che l’ansia e la preoccupazione stanno condizionando in maniera significativa la vostra quotidianità e, nonostante i vostri sforzi e i vostri tentativi di controllarle, si sono mantenute al punto tale da diventare delle costanti nelle vostre giornate. Il senso di invalidità che ne deriva può essere più o meno elevato, con frequente nervosismo, sbalzi d’umore, cali di concentrazione o di attenzione, costante stato di allerta e allarmismo, irrequietezza e impulsività.

Spesso, le persone in questo stato non riescono a fare le cose che vorrebbero e soprattutto come vorrebbero. Anche il compito più facile può diventare difficoltoso a causa della costante tensione, arrivando talvolta ad evitare o delegare i propri doveri, oppure ad adempirvi con tempi decisamente più lunghi rispetto alla norma.

Inoltre, le conseguenze che ne derivano possono essere significative anche per le persone affettivamente o lavorativamente vicine. Amici, colleghi, genitori o partner sono spesso costretti ad assorbire tale nervosismo, faticando a capire cosa sta succedendo.

Ad ogni modo, l’aspetto più comune e preoccupante che si riscontra in queste persone è la rassegnazione a questa condizione di vita, come se fosse ormai un qualche cosa che appartiene alla loro esistenza, come se avessero accettato di vivere una semi-vita.

E cosa si può fare allora? Beh, se voi non avete trovato risposta a questo interrogativo, non è detto che non la possa trovare qualcun altro! Oppure la rassegnazione è tale da non contemplare più la possibilità di uscire definitivamente da questo stato e riassaporare ogni piacere della vita?

 

L’indecisione, l’ansietà sono per lo spirito e per l’anima quello che la tortura è per il corpo” N. De Chamfort

 

Dr. Claudio Cecchi

Psicologo, Specialista in Terapia Breve-Strategica

STUDI DI PSICOLOGIA & FORMAZIONE – AREZZO

Via Campo di Marte 11 (Ar), 1° piano

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Consigli e chiarimenti sul mutismo selettivo (riassunto della giornata del 24 /10/2015)

Parlare della giornata di sabato 24  ottobre vuol dire descrivere una giornata di emozioni e soddisfazioni.

Vorrei fare una premessa.

Questa giornata è stata organizzata dall’Associazione Prometeo, il presidente Massimiliano Frassi che fino a ieri conoscevo solo virtualmente, mi ha proposto di presentare i miei libri ma soprattutto di parlare di mutismo selettivo a Gorle, Bergamo, in una delle sedi della sua associazione. Non ho esitato un minuto. Da qualche tempo avevo idea di creare intorno alle presentazioni dei libri qualcosa di diverso e utile. Io sono un’editrice, non scrivo i libri che pubblico, ma posso divulgare l’informazione, posso fare in modo che i libri siano un veicolo dell’informazione che viene data oralmente negli incontri.

Quindi la sequenza dei miei pensieri è stata questa: sono stata invitata a parlare di mutismo selettivo-> io posso parlarne in riferimento ai libri che A.G.Editions ha pubblicato-> posso essere un tramite nella divulgazione dell’informazione chiamando esperti come relatori.

Non ho avuto incertezze, proprio mesi fa avevo chiesto alla Dottoressa Simona Ius, che ha anche scritto la prefazione de I Quaderni, di scrivere sempre per A.G.Editions un libro che dia strumenti concreti, risposte, consigli pratici a insegnanti, genitori, educatori e a tutti coloro che sono interessati a questo disturbo.

Lei non solo ha accettato ma ha coinvolto tutto lo Studio Smail del quale fa parte, vale a dire la dottoressa Claudia Gorla, la dottoressa Federica Trivelli e anche il loro prezioso collaboratore  Matteo Corbetta che si occupa di arte-terapia.

La sala era strapiena, l’interesse era  al massimo e anche l’esigenza di comprendere e di avere strumenti utili da applicare domani stesso in classe.

Ho capito che questo disturbo viene considerato raro perché non si conosce, perché non viene diagnosticato precocemente. Non viene diagnosticato precocemente perché non circolano informazioni, alcune insegnanti hanno dato un nome al silenzio e ai comportamenti “strani” del loro alunno; alcune hanno affermato di aver avuto in passato qualche alunno “silenzioso”.

Mi hanno colpito due maestre, una ha affermato di aver ricevuto informazioni vaghe completamente opposte a quelle fornite ieri (che fra l’altro hanno portato a una maggior chiusura della bambina sua alunna); un’altra ha detto di sentirsi in colpa perché non sapendo cosa fare o non fare, cosa dire o non dire, era una di quelle persone citate dalle relatrici che forzano i bambini a parlare, con promesse allettanti, punizioni o altro. Questa maestra in qualche modo mi ha commossa perché l’ho vista confusa e forse chissà anche un po’ arrabbiata per non aver saputo cosa fare, perché nessuno l’ha fatto prima.

Domande rivolte alla dottoressa Gorla e alla dottoressa Ius

Il mutismo selettivo è una psicopatologia.

Si può “guarire”?

Sì con tempi diversi, rispettando i tempi di ognuno, la diagnosi precoce è importantissima ovvio che se il mutismo perdura a questo si aggiungono le problematiche tipiche dell’adolescenza e superare il silenzio, che si è ben installato da anni, diventa più difficile. Difficile non improbabile o impossibile. Il tipo di terapia è ovviamente diverso.

Alla domanda se la scuola prevede un protocollo particolare per il mutismo selettivo se ricordo bene è stato risposto che è compreso nei BES.

Azione fondamentale è la collaborazione scuola-famiglia-terapeuta, le relatrici sostengono che è necessario, assolutamente necessario una collaborazione, in effetti lavorano molto con i genitori, specialmente quando i bambini che soffrono di mutimo selettivo hanno un’ età inferiore ai 6-7 anni. In questo caso, quindi, iniziano un percorso  con genitori e poi restano in costante contatto con le insegnanti che le avvisano dei progressi, e degli eventuali cambiamenti.

In fondo sappiamo bene che il bambino che soffre di mutismo selettivo, a scuola è completamente diverso dal bambino che è a casa.

Tutte le azioni che possono essere effettuate a scuola (andare prima o dopo le lezioni in classe da soli con il bambino, introdurre un compagno ecc.), devono essere concordate con la psicoterapeuta, con la maestra e con il bambino stesso. Fermo restando che siamo tutti consapevoli che spesso le insegnanti hanno le mani legate a causa di autorizzazioni negate, mancanza di strutture o scarsa disponibilità.

Questa l’ho sentita anch’io tantissime volte più che una domanda è un’affermazione:

Ma insomma l’ho portata dalla psicologa e ancora non parla, e poi le domando ma che fai con la dottoressa ?

Dice che giocano, disegnano ma io non la porto più ma a che serve?

Le due psicologhe hanno spiegato che:

dai 6 -7 anni in poi lavorano in studio direttamente con i bambini, e sempre in stretto contatto con la scuola. Ovviamente qual’è la meta? Lo scopo principale delle sedute? Far parlare? NO! Abbassare l’ansia, insegnare al bambino a gestire la sua paura, e la conseguente ansia. E ad un bambino non si può parlare dei massimi sistemi , ad un bambino ci si approccia entrando nel suo mondo. Per questo Lo studio Smail associa anche l’arteterapia. Quindi per favore se iniziate un percorso con uno psicoterapeuta non lo interrompete perché pensate che “gioca” e basta, piuttosto chiedete al bambino come si sente in quelle sedute, se si sente a suo agio. Se il bambino ha fiducia e vede in quell’ora di seduta un momento in cui può abbassare le sue difese, non dover far fronte a nessuna aspettativa, credeteci anche voi; e soprattutto non chiedete davanti al bambino uscendo dalla stanza “HA PARLATO?

La consapevolezza e l’onestà.

Parlare sempre chiaramente al bambino.

Siate sempre onesti, se registrate la sua voce, la poesia, o l’interrogazione, il bambino deve essere d’accordo e l’ascolto deve avvenire in sua presenza (normalmente lui e la maestra o la prof) a meno che non decida di voler far sentire la voce a tutti.

Il bambino è consapevole del fatto che gli altri parlano e lui no quindi ditegli sempre tutto.

Se andate dalla psicologa, ditegli che andate dalla dottoressa che lo aiuta a star meglio (NON A PARLARE!) così come va dal pediatra o dal dottore quando ha mal di pancia o la febbre.

Tutto il lavoro e la terapia sono incentrati sull’abbassamento dell’ansia. Cito testualmente “dimenticate che non parla”; il bambino, la bambina, il ragazzo, la ragazza non sono il loro mutismo, sono altro. Apprezzate le loro capacità, le loro qualità, a nessuno di noi piacerebbe essere identificato con un problema.

Dopo la fase critica, cioè subito dopo la rottura del silenzio, cosa succede?

Si può avere uno spostamento dell’ansia su altri comportamenti.

Alla domanda ” quando qualcuno pone delle domande al bambino come ci dobbiamo comportare, tipo ma sei muto, il gatto ti ha mangiato la lingua? e via dicendo…”

Siate chiari, rispondete ” il bambino parla benissimo e anche tanto e non è una situazione di simpatia, antipatia o volontà, il fatto è che  in alcune situazioni la parola si blocca, non può parlare”.

Potrei dirvi tante e tante altre cose ma è anche vero che sia più giusto sentirle di persona o leggerle scritte dalle relatrici direttamente e non filtrate da me.

Perché il mutismo selettivo si manifesta a scuola?

Lascio rispondere a voi … la risposta è scontata: è il luogo dove sono richieste delle prestazioni.
Se noi dobbiamo affrontare un colloquio come ci sentiamo, Quando entriamo nel mondo del lavoro come ci sentiamo? Cosa ci diciamo, Quali pensieri ci vengono a noi insicuri? Non ce la farò mai, non sono capace, sono tutti migliori di me. E ci sentiamo agitati, il cuore che batte a mille, le mani sudate, non siamo nemmeno sicuri di poter rispondere Ci uscirà la voce? Poi riusciamo a controllare tutto questo e affrontiamo il colloquio, il nuovo lavoro, il nuovo incarico.
Per il bambino che soffre di mutismo selettivo affrontare un nuovo ambiente, staccarsi dalla mamma, affrontare la maestra e i compagni e…. è troppo. L’ansia raggiunge livelli troppo alti.

Ogni tanto mi vengono in mente altri elementi importanti, altre domande che facevano parte delle lista ( un po’ in taglio giornalistico) di domande che avevo sottoposto alle pscologhe affinché risponderessero pubblicamente. Un’altra delle domande più usuale è: quanto tempo ci vuole per superare il silenzio?

Il tempo necessario al bambino, o al ragazzo. Il mutismo è una forma di difesa portata all’estremo di fronte a qualcosa che fa paura ( esempio di alcuni animali che si fingono morti per difesa) cito se ricordo bene, e mi perdonino le relatrici se non ricordo esattamente le parole dette sabato: ” il mutismo selettivo si sviluppa nel bambino non in un attimo, non in seguito ad un evento improvviso (quello è altro , è mutismo post traumatico, è un’altra cosa, ed è totale non selettivo) ma nel tempo, in molto tempo, e quindi non si può pensare di risolvere tutto in brevissimo tempo. In alcuni casi può succedere, in alcuni casi bastano poche sedute, in altri invece i tempi sono più lunghi. Tanto quanto ne ha bisogno il bambino/a, l’adolescente per abbassare la sua ansia.

Io sto sollecitando le psicologhe dello studio Smail a scivere un libro il più presto possibile in modo che possiamo presentarlo in varie conferenze nella prossima primavera, il libro conterrà tantissimi altri consigli pratici soprattutto per gli insegnanti, e darà una risposta a molte delle domande che ci si pone sul mutismo selettivo.

Alla domanda che tipo di persona sarà in futuro chi ha sofferto di mutismo selettivo: non si può dare una risposta netta.

Ogni bambino, ogni persona è un universo a sé stante. Il silenzio è un sintomo,  la punta dell’iceberg ma quello che c’è dietro al silenzio è diverso per ognuno.  E una volta superato ognuno è diverso. Certo si ha in comune il fatto di aver passato anni a osservare gli altri, probabilmente si ha una grande capacità di comprendere le espressioni del volto e degli occhi. Ipersensibilità ma anche creatività. La scrittura, la musica,  la pittura sono sempre state ottime modalità di esprimersi.

iceberg

 

Cose belle a tutti

Adriana Cigni

 

PS:

Tutte ciò che ho scritto non è frutto della mia opinione personale ma è il breve resoconto di circa 3 ore  e mezzo di lavori. Le affermazioni, i consigli riguardanti il mutismo selettivo  qui citati sono il riassunto di tutto ciò che ho appreso ieri dalle relatrici.

 

 

 

 

 

Parlatene, parlatene, parlatene

Il 6 Giugno 2015 sulla rivista SuperAbile  INAIL è apparso un articolo  “Maria e gli altri, prigionieri del silenzio” firmato dalla giornalista Laura Badaracchi. Il tema dell’articolo era il mutismo selettivo raccontato attraverso la storia di Maria.

Qualche settimana fa  la redazione del giornale ha ricevuto una lettera che ovviamente è stata recapitata a Laura che a sua volta l’ha inviata a Maria e a sua madre Roberta.

Roberta me l’ha fatta leggere, e insieme con grande commozione abbiamo deciso di chiedere alla persona che l’ha inviata, l’autorizzazione a pubblicarla. Roberta ha avuto con la signora una conversazione telefonica e con la rassicurazione di non citare né il nome né alcun riferimento che possa identificarla anche l’autorizzazione, ecco la lettera.

Ho letto con interesse il vostro articolo sul mutismo selettivo e ho rivissuto in pieno il mio dramma.

Tanti anni fa (oggi ne ho 73) non se ne poteva neanche parlare, ma vedo con piacere che oggi il problema si può trattare. Io sono stata insegnante per mia scelta, non sapevo di soffrire di mutismo selettivo e i problemi sono iniziati subito nel mio dover parlare con gli altri (alunni, colleghi): téléchargementtachicardia parossistica e blocco della loquela.

Ho chiesto a mio padre di aiutarmi a cambiare lavoro, ma non ne ha voluto sapere; mia madre…neanche mi ha creduto.

In questo stato di sofferenza acuta ho vissuto per 21 anni finché una visita medica collegiale svoltasi presso l’Ospedale “ “ ha riconosciuto il mio stato di disagio e mi ha distaccato dall’insegnamento in maniera permanente.

I miei ex colleghi mi hanno disprezzato, mia madre ha continuato a non credermi, mio padre nel frattempo era morto.

Per questo vi dico:

parlatene

parlatene

parlatene

è importante che questo problema tanto serio sia conosciuto.

                            Grazie per avermi ascoltato

Ho scritto perché non conosco i mezzi moderni di comunicazione

           La firma

 

Ho ricevuto questa lettera in un momento particolare: sto per pubblicare un nuovo libro in francese su questo argomento, un altro è in cantiere.

Ne vale la pena? Sì la nostra cara amica ce lo dimostra, anzi il suo è un appello

“Parlatene, parlatene, parlatene”.

Dell’importanza dell’informazione ne ho fatto quasi il mio tormentone.

L’informazione : cos’è il mutismo selettivo?

La comprensione: posso fare qualcosa, a chi devo rivolgermi?

La pratica consigli per genitori e insegnanti: cosa fare e non fare.

Cosa chiedere e non chiedere ad un bambino, ad un ragazzo o una ragazza che soffrono di mutismo selettivo.

Posso rassicurare alla nostra amica che qualcosa sta cambiando, anche se il cammino è ancora lungo.

La mia speranza è che nessuno debba vivere il suo malessere, e che a casa e a scuola, tutti i bambini, che abbiano difficoltà o meno, possano sempre contare su genitori comprensivi e insegnanti disponibili e aperti.

Adriana Cigni

L’ascolto attivo si impara!

L’ascolto attivo si impara!

di Marta Tropeano

Cosa vuol dire ascoltare?

 Come posso potenziare l’ascolto attivo a scuola?

Innanzitutto è bene definire separatamente l’azione fisica dell’udire e del sentire da quella psichica, dell’ascoltare. Udire è un fenomeno fisiologico, ascoltare invece è un atto psicologico. Parlare dell’ascolto oggi è molto importante, siamo immersi in una società piena di suoni e di rumori, in cui tutti parlano ma nessuno sembra disposto ad ascoltare. Al di là di una maggiore o minore predisposizione personale all’ascolto, dobbiamo tener conto che la “capacità dell’ascolto”si può imparare e migliorare e potrebbe essere appresa già a scuola.

Oggi si parla di Ascolto Attivo, ma cosa vuol dire? E’ un gioco aperto, vuol dire ascoltare la centralità delle emozioni, è un ascolto dinamico che tiene conto delle pluralità di prospettive. Possiamo introdurre qui il Triangolo Magico dell’Ascolto, mette in evidenza come l’utilizzo dell’ascolto attivo implichi la conoscenza di due dimensioni: auto-consapevolezza emozionale e gestione creativa dei conflitti.

ASCOLTO ATTIVO (2)

 

L’ascolto attivo è una delle metodologie dell’educazione socio-affettiva di Thomas Gordon che mira non solo all’educazione della sfera cognitiva della personalità del bambino, ma anche a quella sociale e affettiva. L’obiettivo è di educare, attraverso lo sviluppo di competenze relazionali e di intelligenza emotiva, ad una comunicazione autentica basata sull’ascolto non giudicante e la comprensione empatica dell’altro.

L’ascolto attivo a scuola: la comunicazione insegnante-allievo

L’ascolto attivo può essere efficacemente utilizzato nel contesto scolastico al fine di potenziare le competenze comunicative degli insegnanti. Spesso, infatti, le dinamiche e le relazioni dentro la classe possono essere difficili da gestire, rendono molto gravoso il lavoro dei docenti che rischiano di oscillare tra l’autoritarismo e la permissività, rendendo ancora più difficoltose le relazioni con gli alunni perché non improntate ad una condotta coerente e non realmente efficaci o autentiche.

Nella relazione didattica docente-alunno un ascolto attivo aiuta ad instaurare una buona comunicazione e ad effettuare un migliore apprendimento. Prima di tutto si crea un’ottima interazione tra docente e alunno, poiché quest’ultimo si sente capito, ascoltato e non giudicato. Uno dei problemi che determina un cattivo rendimento degli studenti è la paura, l’ansia del rendimento, della prestazione che spesso crea un blocco nell’esposizione più armonica, chiara e leggera. Per poter effettuare un ascolto attivo è importante ascoltare l’alunno senza preconcetti, anche se non si accettano le sue idee o i suoi punti di vista.

 

 Un iter progettuale per potenziare l’Ascolto Attivo in classe

Per iniziare il nostro iter progettuale bisogna far capire alla classe cosa vuol dire saper ascoltare, introducendo il simbolo dell’ascolto in Giapponese. Questo ideogramma rappresenta il nostro punto di partenza, seduti in cerchio si passerà alla lettura e alla scoperta di quanti significati e metafore sono racchiusi nel simbolo dell’ascolto.

Simbolo dell'ascolto (3)

Da qui l’insegnante può far notare quanti elementi compongano L’Ascolto: l’orecchio, la mente globale rappresentata dal “tu”, l’attenzione unitaria, il cuore delle emozioni, e infine il senso dell’udito rappresentato dall’orecchio.

 

 

Una seconda attività da proporre è L’ascolto attraverso la musica. L’insegnante invita gli alunni a formare un cerchio e a creare un clima di silenzio, prima della riproduzione dei brani ( 6 brani musicali di diversi generi dalla musica classica, rock, pop, blues  etc) distribuisce la seguente scheda preparata precedentemente.

 

Ascolto attraverso la muscia (2)

Quando tutti hanno finito il lavoro individuale chi se la sente può comunicare ciò che vuole della riflessione svolta e trascritta sulla scheda. Gli alunni poi sono chiamati a rispondere alle domande su quale genere di musica preferiscono ascoltare, cercando anche di riportarne il motivo.

 

Un’ultima attività da proporre sempre per favorire un clima accogliente e potenziare l’ascolto attivo, può essere quella di descrivere un episodio della vita in cui “Mi sono sentito ascoltato”, e che cosa ho provato in quel momento. Preparare un fac-simile di questa scheda e proporla come un momento di riflessione e scambio.

L'ascolto attivo scheda (2)

Questo breve iter progettuale vuole mettere in evidenza come in classe si possa favorire e sviluppare momenti d’ascolto attivo. L’importante è tenere in mente di non avere fretta di arrivare a delle conclusioni, imparare a spaziare ed ascoltare i vari punti di vista, saper capire che le emozioni sono degli strumenti conoscitivi importanti se impariamo a comprendere il loro linguaggio.

Dobbiamo far capire agli alunni che diventare buoni ascoltatori è possibile. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i dissensi, e sa gestire creativamente il conflitto, impara ad ascoltare il suo cuore e adotta una metodologia umoristica, solo così un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili

Marta Tropeano

Dott.ssa in Scienze dell’Educazione e della Formazione

Laurea Specialistica Magistrale in Coordinatore e dirigente dei servizi socio-educativi e Scolastici e in progettazione dei servizi socio-educativi e formativi.
Corso di perfezionamento: Consulente di Orientamento scolastico, universitario e professionale.
Corso di formazione post-laurea: “La didattica delle emozioni”.

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Come una carezza leggera, qualcuno vi sfiora per attirare la vostra attenzione

E dopo aver presentato e consigliato La sfida di Riccardo di Valérie Marschall è il momento di parlare dei I Quaderni.

L’idea dei Quaderni nasce dalla consapevolezza che il Mutismo Selettivo può perdurare nel tempo, e non sia quindi solo prerogativa dell’infanzia.

Perché il titolo I Quaderni? Perché ho pensato ai diari di un tempo, quelli dove si scrivevano, o forse ancora si scrive, i pensieri più profondi, le ansie, i segreti. Alle pagine del diario si confida quello che non riusciamo a dire ad alta voce, le parole non dette, i sentimenti non espressi.

28 persone hanno accettato di scrivere per questo libro la loro storia, le loro emozioni, i problemi, le lotte, le sconfitte, le cadute e le vittorie. Adolescenti, genitori, insegnanti, giovani, una bambina, psicoterapeuti ci parlano della loro esperienza di o con il mutismo selettivo.

Le 28 storie sono state raccolte, lavorate , cesellate e rese fluide dalla curatrice Daniela Conti.

Ancora una volta pubblico un assaggio del libro, i protagonisti sono loro gli autori!

“”I Quaderni sono, per me che li ho raccolti, curati e visti nascere, un percorso di vita fatto di piccoli passi 11998627_10206168481744727_30254207_nimportanti. Una raccolta di testimonianze – scritte sotto forma di racconti personali – di genitori, ragazzi, insegnanti e psicoterapeuti che ha per filo conduttore il Mutismo Selettivo, quella forma di ansia sociale che rende sostanzialmente “muti” i bambini e i ragazzi a scuola o nei contesti sociali e davanti agli estranei.” Daniela Conti

“Nelle esperienze intense, sia quelle belle che quelle brutte, l’essere umano pensa sempre di essere l’unico a vivere quella realtà e, se l’esperienza è dolorosa, spesso la chiusura sembra una soluzione. La condivisione, 11997073_10206170950126435_1328964602_ninvece, aiuta: se attraverso i Quaderni scoprirete che non siete gli unici ad avere la fatica di dover spiegare  cos’è il mutismo selettivo, ad avere paura che le conquiste di oggi scompaiano domani, se scoprirete che qualcuno sa dire con parole quel marasma che si scatenava in voi quando, da piccoli, la maestra chiamava il vostro nome, se leggerete la stessa vostra fatica nell’affrontare il coro di Natale, saprete di non essere (i) soli al mondo.” Dottoressa Simona Ius

“La mia infanzia, la mia adolescenza e, meno gravemente, la mia “post-adolescenza” sono state segnate da un costante impedimento a potermi esprimere in modo veramente libero. Questo non a causa di una malattia o di un ritardo mentale. Mio padre, dal momento in cui capì il mio problema, mi parlò di “freno a mano tirato”. Ma tutti i freni a mano, come tutte le viti, tutti i bulloni, si possono sempre sbloccare. Lui, essendo meccanico, questo lo sa bene. Non esiste un bullone che non si possa “mollare”.   Fabio Spanu

“Io ho imparato a leggere negli occhi dei miei figli prima che le loro parole diano il colore definitivo a quello che io ho già intravisto. Forse tanti dei nostri bambini ci vogliono dire cose più grandi di loro, a volte cose troppo dolorose, ma le parole sono difficili da trovare. Gli occhi invece lasciano passare tutto. Cecilia

11992165_10206170950926455_1002201793_n“Nessuno parla, perché Martina è assorta, fruga nello zaino, non si accorge di ciò che la circonda, chiusa nel suo mondo ovattato rotto solo da un gran silenzio. Passanti, la compagna di banco, le preme il fianco con un dito per attirarne l’attenzione. Martina solleva il capo. … Eleonora Siniscalchi

“Certo, lavoro. Sto fuori casa dodici ore. La mamma è stanca la sera. Torna, cucina, riordina ed è già ora di andare a dormire!  «No amore, non posso giocare ora! Dobbiamo alzarci presto domani!». Perché una giornata ha soltanto ventiquattr’ore? Due ore insieme sono niente. Se lavorassi vicino a casa, amore… Se potessi lavorarne quattro e non otto… Se tu parlassi mi sentirei meno in colpa? Francesca Longo

“Quel «presente» si fermò in gola finché, dopo quella che mi sembrò un’ora intera di silenzio, qualcuno disse: «lei non parla». Non credevo tutti già lo sapessero e, per questo, iniziai quell’anno scolastico da sconfitta. Alessandra

“Quando più avevo bisogno di attenzioni mi isolavo, sperando sempre che qualcuno venisse lì vicino, rompesse quello scudo per farmi tornare alla vita gioiosa, ma mai ricordo fosse accaduto.” Lorella A.

“Matteo ha una convinzione: le parole, le emozioni e la gioia che tanto tempo fa gli sono state tolte, saranno restituite dal destino alla sua bambina e a tutti quei bambini che non parlano!” Matteo e Alessia

“I Quaderni. Dal silenzio il canto: storie di mutismo selettivo “, è rivolto ai giovani, agli adulti a coloro che ancora non hanno superato il mutismo selettivo ma soprattutto a chi non ne soffre.
È rivolto proprio a tutti gli altri.
Chi è in silenzio, sa bene di cosa si tratta, conosce bene le modalità, gli escamotages per evitare l’invisibilità, per vivere una vita normale senza dialogare con gli altri. Chi lo vive in prima persona lo sa. E allora è proprio a noi, tutti noi che si rivolgono i 28 autori.
Immaginate di essere di spalle.

Come una carezza leggera, qualcuno vi sfiora per attirare la vostra attenzione.

Ecco questo libro è una carezza leggera, vi chiede attenzione, non è difficile, basta girarsi poi è solo emozione.

Il libro è per tutti! Vi piacciono le storie vere? Quelle che fanno vibrare l’anima? Quelle storie che colpiscono anche per la loro sgradevole verità? Allora questo libro è per voi.

foto di Carlo Piodelli
foto di Carlo Piodelli

Non sapete cosa sia il mutismo selettivo? In questo libro se ne parla, è un filo che lega le storie ma quello che conta è : cosa hanno da raccontarci i nostri 28 autori?

Il libro è bello, il libro viene apprezzato non solo per il tema trattato ma anche e soprattutto per quell’arcobaleno di emozioni che ogni storia trasmette. E come l’arcobaleno, i colori possono essere vivaci e allegri, ma anche più scuri, indecisi e malinconici.

Adriana Cigni

Editrice

CHE COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA?

È un aspetto dell’intelligenza che riguarda la capacità di saper riconoscere e comprendere in modo adeguato le proprie e altrui emozioni. Il successo del concetto di “intelligenza emotiva” è da attribuire a Daniel Goleman, ricercatore americano e professore di psicologia all’Università di Harvard e autore di tanti testi fra cui “Emotional Intelligence.
Per molto tempo, a mio avviso, la dimensione emotiva delle persone è stata trascurata dalle scienze psicologiche, interessate e impegnate a studiare le variabili dell’apprendimento, la percezione o la motivazione. Con D. Goleman si gettano le basi di un’educazione emotiva volta a definire le componenti dell’intelligenza emotiva che, come lui stesso scrive, sono cinque:

◊ Consapevolezza di sé

◊ Dominio di sé

◊  Motivazione

◊ Empatia

◊ Abilità sociale

SI PUO’ PARLARE DI APPRENDIMENTO EMOTIVO?

Le competenze affettive, empatiche e di rispecchiamento reciproco oggi sono determinanti fin dalla più tenera età, per creare un clima di condivisione in classe e non solo. La sfera emotiva è un contenitore e attraverso l’empatia, ossia la capacità di immedesimazione, ci permette di mediare ogni connessione con la realtà esterna. Da qui la necessità di creare non solo un’educazione emotiva mirata, ma una vera e propria Didattica delle Emozioni. Nella costruzione di un percorso di apprendimento il fattore emozionale va quindi considerato come una componente indispensabile all’apprendimento stesso e si può quindi affermare che senza emozione non ci sia apprendimento.

PROGETTARE IN CLASSE UN PERCORSO DI SVILUPPO DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA.
Impariamo ad essere Adulti Emotivi
Qui voglio esporre le linee guida per iniziare un percorso operativo di classe, di solito a scuola il tempo a disposizione non è sufficiente a causa delle scadenze, resta poco tempo da dedicare ai bambini senza calendarizzazione e programmazione. Ma siamo sicuri che sia davvero così difficile trovare uno “spazio affettivo” e completamente dedicato a loro?

margherita Se durante la lezione un bambino/bambina manifesta un’emozione negativa o di insofferenza, prendiamo ciò non come un fattore di disturbo alla lezione ma come un occasione di intimità;

margheritaSe un bambino manifesta l’emozione della rabbia, cerchiamo di non essere impazienti, ma ascoltiamo i suoi tempi;
margheritaNon spiegamo ai bambini quel che dovrebbero provare, ma cerchiamo di utilizzare i momenti emozionali per ascoltarli, rassicurarli e contenerli;
margheritaTutto questo ci serve per aiutare i bambini a riconoscere le proprie emozioni, impareranno a fidarsi dei propri sentimenti e cresceranno con un’alta stima di sé e con una maggiore facilità di socializzazione;

Mi chiederete ma in pratica cosa posso fare in classe per avviare un percorso di Educazione emotiva?
Semplice, partiamo dall’appello che è un momento cruciale perché oltre ad essere una routine è il primo approccio con i bambini all’interno della classe, io ho strutturato L’Appello delle Emozioni così:

 

emoticons

 

Non un appello sterile fatto di presenze-assenze ma un appello emotivo, fatto di: “come stai oggi?”
Se oggi sono felice lancio lo smile giallo e lo condivido con un altro mio compagno/a che oggi si sente felice come me.
Un altro momento poco organizzato a scuola è l’intervallo. Ci dovrebbero essere momenti di gioco libero, per non appesantire ulteriormente i bambini, ma qualche volta è gradevole anche partecipare creando dei “giochi emotivi” semplici ma di grande risonanza.
Come ad esempio I colori delle Emozioni:

sagome-fiori-1Associare ad ogni colore un’emozione, e spiegare quando mi sento cosi e perché, potrebbe essere un momento di condivisione emotiva e di confronto importante, sia per percepire le proprie emozioni collocandoli visivamente, sia per avere una percezione quantitativa delle emozioni provate. Infine in ogni classe non dovrebbe mai mancare un Pannello Emotivo per imparare a conoscere e riconoscere le nostre emozioni, che come sfumature dipingono ogni giorno il nostro cuore di colori diversi.

 

smiles640-300x178Marta Tropeano
Dott.ssa in Scienze dell’Educazione e della Formazione
Laurea Specialistica Magistrale in Coordinatore e dirigente dei servizi socio-educativi e Scolastici e in progettazione dei servizi socio-educativi e formativi.
Corso di perfezionamento: Consulente di Orientamento scolastico, universitario e professionale.
Corso di formazione post-laurea: “La didattica delle emozioni”.
Mail [email protected] Cell. 3403849527

Le equazioni di secondo grado sono “fichissime” e la coda di una cometa è solo polvere stellare..

Cara Adriana,

Sono Erminia, mamma di una ragazza m.s.
Volevo sinceramente ringraziarti per tutto quello che fai per rendere sempre più noto al pubblico cosa è il mutismo selettivo e regalarti una storia.
La prima volta che ho incontrato il mutismo selettivo avevo circa 11 anni. Frequentavo la prima media e in classe c’era questa ragazza: Gloria, capelli castani, occhi marroni; per tutti e tre gli anni delle medie non le abbiamo mai sentito pronunciare una parola, mai un presente all’appello, non è mai venuta alle festicciole tra compagni né ha mai partecipato ad una gita. Una sola volta un insegnante (quello di arte) ha provato ad interrogarla, in cattedra… stava per svenire. Alla fine delle medie le è stato consigliato, dagli insegnanti, di non proseguire gli studi… Nessuno ha mai saputo dare un nome al suo problema, nessuno ha cercato di aiutarla. 
Il mutismo selettivo, in quegli anni era pressoché sconosciuto.
Dalla fine delle medie non ho più incontrato Gloria ma, a distanza di più di trenta anni l’ho rivista, in mia figlia Chiara. 
Infatti a mia figlia è stato diagnosticato il m.s. ma solo quando è arrivata alle superiori. Faccio il collegamento tra le due storie proprio per questo motivo: Gloria. non ha ricevuto aiuto perché nessuno sapeva cosa avesse e cosa si poteva fare, Chiara avrebbe potuto essere aiutata prima se ce ne fossimo accorti. 
Invece…per tutti era solo una bambina timida:
“Parla poco, parla piano ma crescendo cambierà, non c’è da preoccuparsi”
“è così brava, rispettosa delle regole, non parla sopra gli altri, aspetta il suo turno”
“è già molto matura per la sua età, io vorrei riuscire a tirarle fuori quella birbanteria tipica dei bambini di quest’età”, ecc., ecc. Ti potrei citare tante altre di queste frasi che mi dovevano suonare tutte come campanelli di allarme e invece…
 Invece a casa era un autentico terremoto…anche con i compagnetti che lei stessa invitava. 
Poi, con un bel 10 come voto di licenza media arriva al primo anno di liceo scientifico e qui prestissimo la scoperta di questo scomodo compagno.  La sua condizione di m.s. si era consolidata ed aggravata: da lieve (quindi sottovalutato, quindi trascurato, scambiato per semplice timidezza) è diventato grave. Chiara adesso parla solo con me e solo a casa; fuori casa può continuare a parlarmi ma sottovoce e se non si sente osservata. Ma anche con questi connotati di gravità nessuno ancora era in grado di dare il giusto nome a questo problema. Indovina un po’ il primo neuropsichiatra che l’ha visitata di cosa ha parlato: “Qualcosa di tipo autistico”. Il secondo di sindrome di asperger (che appartiene allo spettro autistico), il terzo di “altro disturbo psicotico dell’infanzia e dell’adolescenza”. Ti rendi conto??? Psicotica Chiara!!! Dissociata dalla realtà? non avevo mai sentito niente di più assurdo. 
Adriana, se la conoscessi! Io non conosco nessuno più concreta di lei e calata nella realtà delle cose. Figurati che da grande vuole fare la scienziata.
Materie preferite matematica, fisica e scienze; se la pentola sul fuoco bolle lei non pensa “finalmente si mangia” ma mi si avvicina e mi spiega il passaggio di stato dell’H2O da liquido a gassoso ed il moto convettivo delle bolle di vapore dal fondo verso la superficie e di nuovo la condensazione del vapore a contatto con il coperchio e relativo passaggio di stato da gassoso a liquido!!
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image019Le equazioni di secondo grado sono “fichissime” e la coda di una cometa è solo polvere stellare.. e quando scherzando le dico che il suo mondo è privo di poesia perché le stelle dovrebbero ispirarle altro che non il pensare ai gas ed alle reazioni nucleari che vi accadono all’interno lei mi risponde che la scienza è poesia, capire come funziona l’universo attorno a noi è poesia.
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Non potevo credere a niente di ciò che mi avevano detto, quindi cercando su internet scopro il mutismo selettivo; la ritrovo in quelle descrizioni; è stato come completare un puzzle! Ecco il perché del tirarsi indietro alle recite scolastiche all’ultimo minuto, del rivolgersi piano a me con “mamma dillo tu” se qualcuno le chiedeva il suo nome, dell’impossibilità di salutare qualcuno che non conosceva che qualche volta le ha procurato un rimprovero o una punizione…
Sensi di colpa alle stelle… se mi fossi accorta prima… se avessi saputo…
Ma è inutile farsi prendere dallo sconforto. Dopo l’autodiagnosi è arrivata la conferma ufficiale da parte di un’equipe di esperti. E adesso Chiara sta combattendo la sua guerra per sconfiggere il m.s. e io sono il suo primo ufficiale.
Quello che fai tu lo trovo encomiabile. La diffusione dell’informazione a tutti i livelli su questo disturbo è fondamentale affinché si evitino errori o inutili perdite di tempo, preziosissimo per risolvere il problema.
Ecco questa è la nostra storia, ma il finale ancora è tutto da scrivere, e sarà un lieto fine, ne sono certa.
Te la regalo e puoi farne quello che vuoi.
Spero serva, se caso mai ce ne fosse bisogno, a darti la motivazione per continuare nella tua missione.
Un abbraccio e buone vacanze. 

 

Professioni Educative tra l’ESSERE e il FARE

Professioni Educative  tra l’ESSERE e il FARE

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Quando presento la mia professione, inizio a parlare di chi sono io.

Sono un Educatore/Pedagogista oppure faccio l’Educatore/Pedagogista?

La mia professione è stare in equilibrio tra l’essere e il fare. Una professione spesso confusa con una caratteristica che l’uomo possiede già perché pare naturale interagire con l’altro; siamo esseri sociali, nasciamo in una comunità e ci sviluppiamo in essa. La differenza sta proprio nella finalità della nostra interazione. Ci rapportiamo con l’altro con una valigetta di attrezzi, citando Wittgenstein, di una notevole portata. Attrezzi, metaforicamente parlando perché di consistente e resistente non si vede nulla … Sono attrezzi che non si toccano ma si sentono. Occhi, orecchie e cuore. Osservazione, ascolto ed empatia. Ci interfacciamo con la semplicità delle caratteristiche umane dove tale facilità è fondamentalmente apparenza, noi dobbiamo andare oltre. Educare, cioè, trarre fuori, tirare fuori, tirar fuori ciò che sta dentro. Tutto ciò miscelando insieme il nostro sapere, il saper fare e il saper essere.

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Una professione che si costruisce e de-costruisce per poi ricrearsi nuovamente. E così che mettendo insieme tanti pezzetti del puzzle della mia professionalità, sto delineando un modus operandi che sposa insieme una “tradizione moderna” attraverso la Maria Montessori, le neuroscienze, il connubio tra emotivo e cognitivo con l’ Educazione Razionale Emotiva , i principi della comunicazione verbale e non verbale. Il prodotto finito prende il nome di percorso educativo. Per scelta non mi piace parlare  di intervento, mi dà l’idea di qualcosa di  medico-sanitario mentre la semplice parola “percorso” invoca in me l’immagine di un uomo che si mette sulle spalle il suo zaino e intraprende il cammino su una strada un po’ polverosa, circondata da un paesaggio verde e un sole all’orizzonte che gli permetterà di fare luce sul suo cammino.

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Educare …  al Mutismo Selettivo

Un anno e mezzo fa circa, attraverso il libro La Sfida di Riccardo  di Valérie Marschall, mi sono avvicinata a questa difficoltà poco conosciuta nel “mio” mondo. Paradossalmente una problematica così sconosciuta che assume la peculiarità che la contraddistingue cioè il silenzio. Letture, video, traduzioni, testi, convegni sono stati pane quotidiano. Ogni singola parola che delineava il Mutismo Selettivo era necessaria che fosse osservata e letta sotto differenti punti di vista. Ho potuto sperimentare su di me, come per entrare in con-tatto con chi soffre di ciò sia necessario sentirlo, sentirlo attraverso le esperienze delle persone, racconti in prima, seconda, terza persona. Insomma, è funzionale per una buona riuscita di un supporto per questi bambini, ragazzi leggersi i vissuti e poi la definizione del DSM IV.  Elisa Shipon-Blum, nel libro “Comprendere il mutismo selettivo” descrive in modo ottimale che cos’è il Mutismo Selettivo : “ll Mutismo Selettivo è L. una bimba con due occhioni grandi e bellissimi capelli biondi che fa finta di essere la maestra a casa e chiacchera chiacchera e ancora chiacchera e poi appena si va al parco e alcuni bambini  corrono verso di lei per giocare insieme, si irrigidisce e corre a nascondersi dietro le gambe della mamma.”

Perché Educare al Mutismo Selettivo? Ho riflettuto molto sul scegliere il verbo formare oppure educare, ma riprendendo il significato originario di questa parola quando la famiglia si affida per chiederti aiuto, quello che noi dovremmo fare è essere una guida, un mediatore nel loro percorso per permettere di tirare fuori ciò che è dentro. E in quel “dentro” c’è davvero “tanta roba”. Parto volontariamente dalla famiglia perché culla di vita del bambino, si ritrova improvvisamente in mezzo a quella strada un po’ polverosa, di cui parlavamo prima, un po’ attonita a guardarsi intorno e cercare affannosamente la direzione corretta per proseguire il loro cammino. I genitori devono essere ascoltati, osservati e deve crearsi quel legame di fiducia tale che ti permette di sentirlo, di sentirlo nei loro occhi, sul loro volto. Noi abbiamo il delicato compito di prenderci cura del loro bambino, estremamente sensibile e indifeso che oltretutto non parla .

Ma attenzione, non è vero che non comunichi!

Ricordiamoci e ricordiamogli che il nostro corpo ci può dire tantissime cose, comunica la felicità e la tristezza, il dolore e la paura. Dobbiamo essere capaci di rimanere sospesi nella relazione ed osservare empaticamente chi abbiamo di fronte a noi. Educhiamo la famiglia a ciò che vedono tutti i giorni cioè il loro bambino, ma che non sono  in grado di sapere osservare. Educhiamoli alle emozioni belle e a quelle meno belle. Educhiamoli a saper piangere e gioire per un semplice sorriso. Nel mio lavoro, chiedo ai genitori di stilare un “diario di bordo” della quotidianità dove annotare i successi di loro figlio. Lo rileggo spesso, e ogni volta mi stupisco nel verificare come una frase di questo tipo “In gelateria con papà, risponde al saluto di un conoscente con un bel sorriso guardandolo negli occhi” , che nella freneticità quotidiana appare normale, scontata abbia un valore incredibile. Educhiamo le famiglie  a comprendere un concetto fondamentale: il loro è un bambino e non un bambino affetto da Mutismo Selettivo.

Chiara Mancuso

Dott.ssa in Scienze Pedagogiche e dell’Educazione,
Master in Bisogni Educativi Speciali con approfondimento su Mutismo Selettivo
Corso di Perfezionamento in Grafologia Infantile e Adolescenziale
Esperta e Formatrice in Acquapsicomotricità Educativa.
Specializzanda in Pedagogia, Indirizzo:Consulenza Pedagogica e Progettazione Educativa
Contatto
Tel: (+39) 347.4480692
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La fenêtre de l’école

La fenêtre de l’école

(Traduction de Salvatrice Sander)

 

 


Let the blue sky in

Je vis une période difficile et en même temps merveilleuse avec mon fils de 11 ans.

Comme il le dit lui-même, il est dans la « préadolescence ». Je n’angoisse pas à l’idée qu’il ne soit plus un bébé, au contraire je suis heureuse que chacun de ses pas le mène vers une plus grande autonomie, c’est seulement que ce passage est difficile, on le sait. Il veut prendre son envol mais a encore peur du vide. Les bras protecteurs de sa maman et de son papa sont trop rassurants pour qu’ils soient délaissés sans aucun traumatisme.

Il me rappelle moi à son âge.

Je n’ai aucune nostalgie de cette époque. D’un point de vue physique, j’étais, comme tout le monde, dans une période de transition. J’étais très maigre et j’arborais un véritable catalogue de complexes.

Mon leitmotiv était “la nouvelle me remplit de joie » que je répétais sans pudeur à ma mère au tempérament plutôt explosif. Imaginez que vous ayez la migraine, que vous le fassiez savoir à voix haute et que votre fille vous dise « la nouvelle me remplit de joie », sans la moindre expression comme un mantra.

Il y avait de quoi énerver même les plus calmes.

Depuis quelques temps, mon fils répète « c’est pas juste », comme une éternelle victime, quoique je lui dise (une liste de demandes d’une mère cruelle : range au moins ton bureau, ton blouson froissé, suspend-le dans l’armoire, tu pourrais chercher la deuxième chaussette ?), mais en général il fait mine de ne pas m’entendre.

Oui, il en est ainsi.

Je lui parle en me tenant tout près de lui, et lui feint d’être concentré-absorbé par d’autres activités (exemple : regarder l’écran de la télévision ou de l’ordinateur ou autre ; étudier de la musique ; apprendre le script pour son cours de théâtre).

Quand je me place ma grosse tête devant son petit visage, alors, il ouvre grand ses yeux de biche et me dit « mais oui, j’ai compris » et il sait que je ne peux lui résister.

Cependant ce ne sont que quelques moments, il y en a tant d’autres que nous passons ensemble.

Il y a quelques jours, en sortant de l’école, il m’a dit : « Maman, j’étais en classe, assis près de la fenêtre et j’ai regardé dehors ». Tu étais là, tu es arrivée avant tout le monde.

J’étais heureux de te voir là dehors à m’attendre, cela m’a fait du bien.

Je ne sais pas pourquoi. Pourtant je sais que vous êtes toujours là.

Mais aujourd’hui, c’était différent. Je me sentais en sécurité. »

Emotion à gogo.

Je me suis sentie différente, moi aussi.

J’ai pensé à lui quand il sera grand.

Comme si nous avions créé un très beau souvenir.

Moi qui ne parviens pas à débarrasser mon cœur du vague sentiment de caractère inapproprié lié à « mon ressenti de maman ». Mais cet événement m’a donné un beau choc. J’ai eu un sursaut de prétention.

Allons Adri, tu as fait de ton mieux…

Je ne sais pas pour vous, mais, pour moi, chaque jour est une conquête et une découverte.

Une chose est sûre, je me mets en colère, je crie mais quand je suis seule je cherche à me souvenir  de la petite Adriana de 11 ans, et je comprends un peu.

 

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Arte terapia ad orientamento psicodinamico

Arte terapia ad orientamento psicodinamico 

Ringrazio Adriana Cigni per la sua ospitalità.

Mi chiamo Melania Cavalli e lavoro come arteterapeuta a Milano. La mia decisione di diventare arteterapeuta è nata quando ho iniziato la mia formazione quadriennale presso la scuola dell’ Associazione Art Therapy ltaliana. L’incontro con l’arte terapia sembrava coniugare due mie passioni: l’amore per l’arte in quanto linguaggio umano universale, (sono laureata in architettura) e la psicoanalisi.

L‘arte terapia  è una disciplina basata principalmente sui campi dell’arte e della psicologia che si uniscono evolvendosi in un’unica nuova entità. La peculiarità dell’arteterapia consiste infatti nell’attivazione di un’esperienza artistica attraverso il contatto diretto con i materiali, nell’esperienza estetica e nel dialogo con l’immagine.

Utilizza come principale strumento l’espressione artistica allo scopo di promuovere la salute e favorire la guarigione, e si propone come una tecnica dai molteplici contesti applicativi, che vanno dalla terapia e la riabilitazione al miglioramento della qualità della vita. Il metodo dell’arte terapia ad orientamento psicodinamico proposta da Mimma Della Cagnoletta si basa sulla teoria delle Relazioni Oggettuali di Melanie Klein  e su alcuni concetti di Ogden (1986) Questa metodologia aiuta a focalizzare la situazione psicologica generale del paziente individuando il livello di simbolizzazioni, il tipo di difese, per definire l’intervento terapeutico attraverso l’uso di materiali artistici.

 

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L’arte  terapia fra mamma e bambino

L’arte  terapia fra mamma e bambino mi appassiona molto, è qualcosa di   di nuovo e innovativo in cui mamma o papà e bambino lavorano insieme con i materiali artistici.

Il legame emozionale fra genitore e bambino è molto importante per una sana crescita: lo scopo principale e primario dei gruppi di arte terapia per mamma e bambino è quello di rinforzare il legame della diade, favorendo un attaccamento positivo fra la mamma e il bambino.

Nella mia esperienza ho visto che con alcuni disturbi di ansia come il mutismo selettivo ma anche nei disturbi dell’alimentazione  nei bambini percorsi sia individuali che di gruppo possono aiutare molto . Lavorando insieme si crea uno spazio di gioco e di piacere che aiuta a sciogliere nodi, a proporre nuove visuali, nuovi modi di vedere e vivere  la relazione .

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Laboratorio di arte terapia al nido

 L’arte terapia si può fare anche al nido, piace ed è molto utile,  in questo ambito si parla di prevenzione del disagio

 

L’utilizzo libero dei materiali artistici (tra i quali: sabbia, acqua, creta, plastilina, tempera, l’occorrente per tagliare, strappare e incollare, vari tipi di carta per disegnare, matite, pastelli e pennarelli) facilita l’espressione emotiva e permette al bambino di fronteggiare i processi intrapsichici, collegati alla separazione dalla mamma. Per darvi un’ idea del mio lavoro al nido ecco un video che ho montato dopo un’esperienza di arte terapia in un nido di Milano.

 

https://www.youtube.com/watch?v=BMEumrYZ7Fg

 

Dott.ssa Melania Cavalli ( www.arteterapiacavalli.it) Arte terapeuta ad orientamento psicodinamico diplomata alla Scuola Quadriennale di Arte Terapia dell’Associazione Art Therapy italiana. Iscritta al Registro Professionale Italiano degli Arte Terapeuti A.P.I.Ar.T.  Certificazione di Qualità FAC come Terapeuta Espressivo Arte Terapeuta, accreditata a Norma Europea ISO/IEC 17024

Ideatrice e responsabile del blog collettivo dell’ Associazione Art Therapy Italiana (http://arttherapyit.wordpress.com/)

 

[email protected]

 

CHERS ENSEIGNANTS

Chers Enseignants,

 

Je vous écris parce que je recueille des histoires liées au mal-être, à la difficulté à communiquer, aux différents problèmes qui se manifestent à cause du silence. L’enseignant est celui qui « enseigne à apprendre » partout dans le monde. C’est le premier contact avec le monde extérieur, l’autorité hors du contexte familial. Parfois, là où il existe un vide culturel, des conflits familiaux, vous êtes la seule référence « saine » de l’enfant ou de l’adolescent.

Je reconnaissais déjà l’importance de votre rôle, mais maintenant que je me rends aussi dans les pays voisins, je découvre qu’il n’y a pas de différence. L’école est cruciale. Un enfant en difficulté est un petit égaré, un garçon ou une fille en difficulté « sont des âmes perdues »

Je lis que les adolescents isolés en classe interrompent leurs études au collège. Je lis que des jeunes rongés par leur phobie sociale, incapables de parler, se voient contraints de faire des excuses.

Un geste si banal qui pour eux s’apparente au fait d’escalader l’Everest, alors qu’ils souffrent de vertige

Chers/chères enseignant(e)s,

Je sais que vous devez gérer des classes surchargées, que vous travaillez énormément, mais sans votre collaboration les enfants, les adolescents en difficulté ne peuvent s’en sortir. Ce garçon là au fond de la classe qui ne parle pas, ne joue pas, ne participe pas, que vous ne parvenez pas à « évaluer », cette fille qui veut vous apporter ses réponses par écrit alors qu’elle se trouve face à vous, derrière leur silence se cachent des milliards de réponses qui refusent de sortir, un arc-en-ciel d’émotions, une joie de vivre immense. C’est légitime, c’est normal que vous ne puissiez pas le deviner, mais si les parents vous fournissent des informations, tenez-en compte.

Vous connaissez leur silence. Vous exercez un métier difficile. Je vous admire énormément, car vous avez une grande responsabilité. Il vous faut posséder un « équilibre psychologique » important pour gérer toutes ces vies en pleine effervescence, et bien sûr les enfants en difficulté ne vous rendent pas la tâche facile.

Mais si je vous écris, c’est parce je suis convaincue que s’il existait une étroite et active collaboration entre la famille, l’association Ouvrir la voix (Groupe d’entraide et d’informations sur le mutisme sélectif), et le psychothérapeute s’il est interpellé de l’enfant ou de l’adolescent concerné et vous, ce dernier disposerait de beaucoup plus de possibilités d’évoluer dans la vie.

Je ne fais pas référence au fait de parler, mais à celui de progresser et d’acquérir une confiance en soi.

Adriana Cigni

Éditrice

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www.ageditionsfr.altervista.org

 

Gentili Psicoterapeuti

GENTILI PSICOTERAPEUTI.
Oggi termina “la raccolta” per il libro francese. Sono contenta! Fruttuosa ma anche molto forte emotivamente. L’esperienza del libro-testimonianza per me si chiude con “Les paroles”. Non so se per sempre, sicuramente per molto, molto tempo.
Sono provata da uno scambio con due ragazze francesi che mi ha fatto capire che ho toccato non un punto dolente, molto peggio, una piaga aperta.
Se mi scrivono “ho preso la patente rispondendo con un sms all’istruttore che mi stava davanti”, oppure “non elimini il mio testo, ho sbagliato a pubblicarlo su fb, l’ho riscritto, la prego vorrei poter raccontare la mia esperienza, non ho altre possibilità”
Se mi dicono questo, io ci sto male.
E per questo dico STOP.
Il carico è enorme e pericoloso. Non ho mai visto tanta forza e tanta fragilità insieme.
Ora siamo “venuti a conoscenza”, e abbiamo trasmesso l’informazione agli altri, come si faceva un tempo quando la trasmissione delle informazioni era solo orale. Noi l’abbiamo scritta. Abbiamo smosso le acque e la sabbia e scoperto tante conchiglie meravigliose, ora non resta che poggiarle all’orecchio e ascoltarle. E solo voi potete farlo, solo voi avete la capacità di non rompere l’equilibrio delicato di queste conchiglie.
Qui si pubblicano solo libri, si cerca di divulgare. Io ho solo avuto un’idea senza immaginare che potesse avere tanto seguito, ma posso solo capire altro non posso fare, hanno bisogno del vostro supporto e appoggio, del vostro aiuto.
So che anche voi avete poco tempo e che i tempi sono diffiicili per tutti, ma perché non scrivete un testo divulgativo con delle indicazioni, delle piste da seguire, scritto sulla base della vostra esperienza riguardante i casi di mutismo selettivo? Un libro meno accademico-più comprensibile a noi tutti. Non vi sto lanciando una proposta, pubblicate con le grandi case editrici, con quelle universitarie, quelle specializzate non importa. Credo che sia tempo di uscire un po’ allo scoperto,So bene che esistono tanti modi diversi di considerare il disturbo, tante metodologie diverse. Voi informate, Date la possibilità di sapere che esistono delle soluzioni. L’importante è che ci sia uno scambio. Forse questo disturbo non è così come sembra chissà…
Grazie.

 

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Il senso di colpa

imagesImmagine presa dal web, grazie Cavez©
È da tempo che ci penso, un bel po’ di tempo.
Affrontare il tema del “SENSO DI COLPA” non è facilissimo.
Però questo è un luogo dove ho deciso di dar libero sfogo ai miei pensieri, e allora perché lasciare frullare le idee senza sosta?
E quindi eccomi, lancio l’argomento e attendo il vostro parere.
Il senso di colpa di cui vorrei parlare non è quello grave, dovuto a rimorsi per aver compiuto atti gravi e irreversibili. Quello lascio che siano gli specialisti a trattarlo, io mi riferisco a quello più” leggero”, quello che ci portiamo dietro come una specie di novelli Atlante, noi genitori dubbiosi.

 

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Che poi a ben pensarci esistono genitori non dubbiosi?
Non ho mai amato le caratterizzazioni di genere tipo “gli uomini sono così, le donne invece…”ma in questo caso ho la vaga sensazione che il senso-di-colpa sia un sentimento che riguardi molto di più noi donne. Ho la possibilità, grazie al mio lavoro, di entrare in contatto con molti genitori, con molte donne, di parlare, scambiare opinioni e consigli e proprio da queste conversazioni e dalla mia personale esperienza che è nata l’esigenza di parlare del senso-di-colpa .
E’ difficile scrollarsi di dosso la perenne sensazione di essere la causa di tutto ciò che capita ai nostri figli, nel bene e nel male. Alcune teorie, che forse oggi non sono più teorie ma vere e proprie scuole di pensiero, sostengono che alcuni disturbi o traumi, grandi o piccoli che siano, abbiano un’origine prenatale. E qui entriamo in un terreno minato amici miei, perché siamo noi “ragazze” che scarrozziamo i bambini nel nostro pancione, e pensare che già prima che nascano, i nostri comportamenti, le nostre azioni influiscano sull’esserino è leggermente inquietante. So perfettamente che è vero.
E poi quando crescono, non solo assorbiamo le loro difficoltà e le loro vittorie (ma piuttosto le difficoltà!!) ma ce le mettiamo sulle spalle proprio come Atlante. Tutte, da quelle più importanti, a quelle più leggere. Come fare allora?
Se hanno problemi a scuola ci sentiamo responsabili delle loro carenze.
Se soffrono di qualche disturbo o disagio psicologico, entriamo immediatamente nel tunnel del “senso di colpa” , rivoltiamo come un calzino la nostra vita , cercando di capire dove, come e quando abbiamo sbagliato. Quale azione ha scatenato quella determinata problematica? Quando è successo? Quando lo abbiamo sgridato perché eravamo esauste?
Non tralasciamo nulla, perfino la scarsa propensione del figlio per la matematica viene vista (succede a me!) come una mancanza!

Partendo dal presupposto che i figli so piezz ‘e core e che sarebbe impossibile provare un totale sentimento di distacco come affrontare ed evitare il senso di colpa?
Cercasi leggerezza!

urlsempre lo stupendo Cavez©